THE MISSING BOYS - Catinari: "La provincia
musicale italiana degli '80"
Davide Catinari ha diretto il documentario "
The Missing Boys", che giovedì 20 febbraio accompagna a Torino in una proiezione al cinema Massimo.
Davide, presentiamo questo tuo lavoro.
The Missing Boys è un film che è stato fatto per lasciare una testimonianza, una sorta di diario generazionale del fermento della provincia italiana dal 1979 al 1989, con particolare riferimento per le scene sarde di Cagliari e Sassari. Le caratteristiche in tutta Italia nei centri meno grandi erano sempre le stesse: la carenza di spazi, l'assenza di strumenti di comunicazione come quelli che ci sono oggi, la diffidenza degli enti pubblici facevano sì che non ci fosse una grande differenza tra chi suonava a Perugia o chi lo faceva a Canicattì o in Sardegna.
Come hai costruito il documentario?
Dal punto di vista strutturale il film si articola su due livelli narrativi, una ricostruzione storica attraverso la memoria degli intervistati e una sorta di presente "aumentato", in cui un giovane è come fosse all'interno di un dislivello temporale e lui è direttamente connesso con i ricordi dei protagonisti. Questo per differenziarlo dal classico modello di documentario, ho cercato così di evitare la linearità del racconto e dare al tutto un altro ritmo.
Tu sei il regista ma sei anche un musicista.
In qualche modo ho fatto parte di quella scena, sì. Una delle band più importanti della scena cagliaritana - i Crepesuzette - mi vedeva tra i componenti ma ho preferito non apparire, mi sarebbe sembrata una nota stonata all'interno del progetto. Volevo parlare di un gruppo di persone che in tutta Italia nello stesso periodo ha formato una sorta di comunità, un "noi", intorno a dei meravigliosi dischi di importazione, distribuiti con il contagocce nei vari negozi di dischi del Paese. Una generazione che è riuscita nonostante tutto a conquistarsi degli spazi su dei palchi.
Che tipo di musica suonavate?
Si trattava di un genere di musica che richiedeva ascolto, non una fruizione più o meno passiva, era una scena che in tutta Italia ha avuto meno visibilità - a parte i Neon o i Litifiba - ma aveva la forza di essere senza confini precisi, si scorgeva una nuova modalità di fare musica, con un imprinting musicale molto forte.
L'invisibilità di quella scena mi ha ispirato il titolo, da un brano dei Durutti Column dedicato a Ian Curtis.
15/02/2025, 08:43
Carlo Griseri