MAURO CORONA - LA MIA VITA FINCHÉ CAPITA - Parla il regista
Il 2 maggio l'esordio al Trento Film Festival, dal 5 al 7 nelle sale di tutta Italia: "
Mauro Corona. La Mia Vita Finchè Capita" è pronto a farsi conoscere dal pubblico, ne abbiamo parlato con il regista
Niccolò Maria Pagani.
Come è nato il tuo avvicinamento a questo lavoro?
Mauro Corona prima non lo conoscevo, se non quello che è il suo personaggio televisivo: il suo agente mi aveva invitato a sentirlo parlare a Bookcity, pensavo non fosse una persona che mi interessava raccontare. Ma sono poi bastati dieci minuti a tavola e ho capito che c'era un mondo che avrei voluto scoprire!
Di cosa abbiamo parlato? Di tutto: vino, amore, morte, vecchiaia... tutto quello che viene fuori nel film. Per lui parlare di tutto è naturale, della videocamera non gli importa nulla ed è sempre estremamente spontaneo.
E poi come avete fatto per le riprese e il resto?
Mauro mi ha lasciato carta bianca su tutto, è sempre stato molto rispettoso, ci teneva che ci fossero alcune cose (alcuni luoghi di Erto, la morra con i suoi amici) ma per il resto ero libero.
Per le riprese del film mi sono spostato a vivere a Erto, vicino a lui, mi sono trasferito per sette mesi lì per entrare sempre più nel suo mondo.
Quanto sei riuscito a scrivere prima e quanto hai seguito lui?
Nella testa avevo una struttura che volevo seguire e a cui attenermi, ma mi piace sempre essere portato dalla storia, in questo caso ho fatto io anche il montaggio: in un documentario si vede lì la mano del regista, secondo me, avevamo tanto materiale e tante cose belle e ci tenevo. Ci sono voluti sei mesi per trovare un capo e una coda!
Per lunghi tratti sembra che tu abbia voluto lasciare la sua esperienza in tv fuori dal documentario.
Ti dirò, esiste una prima versione del film in cui la parte della tv non c'è, avevo deciso di staccarlo completamente da quel mondo, di farlo vedere senza quella maschera. Poi ho pensato che è un lavoro sulla sua vita, e bene o male la tv ne fa parte, il successo con il grande pubblico viene da lì e quindi l'ho messa, ma ho più che altro fatto vedere il "prima" di un collegamento, l'attesa, le chiacchiere...
Ci sono anche alcuni ospiti, come li avete scelti?
Mauro mi aveva segnalato i suoi amici e io ho scelto quali coinvolgere. Nei miei documentari la musica ha sempre grande importanza, quindi ho scelto due musicisti come Davide Van Des Froos e Piero Pelù, anche perché mi permettevano di giocare con loro che suonavano, di spezzare il racconto.
Poi c'è Erri De Luca: ci tenevo io ma è stato più casuale, avevamo cercato di incastrare più volte i loro impegni inutilmente, poi è passato per suo documentario da Erto e siamo riusciti a farcela.
Sui titoli di coda sentiamo una cover di "Sole spento" dei Timoria.
Non credo sia nei suoi ascolti, ma Omar Pedrini è suo grande amico. Gli ho chiesto una mano per la chiusura, abbiamo deciso per una cover con voce femminile su mia richiesta: nel documentario non ci sono donne (nel mondo di Mauro non ci sono, ma sono spesso evocate), e alla fine è come se le donne citate durante il film appaiano nei titoli di coda. Non ho voluto una cantante per la cover, ma una ragazza di Erto che ha dato sincerità, anche se è imperfetta.
Quella canzone parla di un carcerato e della vita fuori che lo attende, lui ha un po' una sindrome di Stoccolma, non riesce ad andarsene dal suo Paese.
Cos'ha detto del lavoro finito?
Non ha voluto vederlo, non gli va di riguardarsi, lo fa sentire a disagio, ma lo ha fatto vedere ai suoi figli e al suo agente, a loro è piaciuto e si è fidato. Alle presentazioni cercherà di esserci il più possibile, anche se non ama troppo spostarsi.
Ci tengo a sottolineare il lavoro di Luca Da Dalt, 24enne a inizio riprese, il direttore della fotografia: è molto giovane ma molto bravo, per un racconto come questo con tanta malinconia, nostalgia, vecchiaia, morte, volevo un occhio giovane per creare contrasto, ha fatto un lavoro egregio.
21/04/2025, 07:34
Carlo Griseri