Sinossi *: In molti dei canti partigiani c'è un profluvio di bandiere rosse, compagni, parole di scherno nei confronti del nemico fascista e nazista, insomma ce n'è abbastanza per essere accusati (seppure ad un'analisi superficiale) di faziosità o, per meglio dire, di partigianeria... E invece il senso del concerto qui documentato deve essere inteso come ricostruzione storica: del resto sia i testi che le musiche sono quelli originali, devono essere quindi storicizzati e contestualizzati, non certo strumentalizzati. Il fatto che in alcuni momenti si inneggi alla morte del nemico non significa che chi li cantava (e li canta oggi)fosse (o sia) un barbaro o un violento. Certo, la violenza è stata il fondamento stesso del fascismo e del nazismo, che si basavano sull'identificazione (e spesso sulla creazione ad arte) di un nemico e quindi sulla sua eliminazione fisica. Dobbiamo quindi ricordare che chi lottò contro il fascismo e il nazismo lottò, a rischio permanente della propria incolumità fisica e spesso della propria vita, contro tale ideologia sterminatrice. E il principio fondante della democrazia che questi eroi -i partigiani- ci hanno donato col proprio sacrificio è proprio la negazione della possibilità di eliminare chicchessia. Dal punto di vista musicale, i 6 canti sono armonizzati in maniera tradizionale, anzi con una cura particolare a mantenerne la semplicità originale. Pressoché tutti i canti partigiani sono melodie preesistenti cui si abbinano nuovi testi: giusto per ribadire questo concetto ho pensato di alternare in Bella ciao il canto originale delle mondine (che ha un testo e quindi un andamento più triste e "faticoso", anche se traspare la speranza di riscossa nell'ultima strofa Verrà un giorno che tutte quante lavoreremo in libertà) con il conosciutissimo testo partigiano. Un discorso a parte per la rapsodia Resistenza: nel brano, piuttosto lungo ed articolato, le melodie partigiane si alternano, ritornano e si sovrappongono, legate insieme da "collegamenti" musicali originali; il linguaggio è volutamente "discordante", nel senso che ho mantenuto una dicotomia armonica tra i momenti in cui il coro intona i vari canti (armonizzati tradizionalmente) ed il resto, con dissonanze ed alcune sovrapposizioni di tonalità,il tutto a sottolineare la lettura fatta dai coristi stessi- di numerosi e a volte ampi stralci di lettere dei condannati a morte della Resistenza: veri eroi, la maggior parte giovanis-simi, che hanno dato la propria vita perché l'Italia si liberasse dal Fascismo e fosse migliore. Vorrei anche sottolineare l'inquietante attualità dell'ultima lettera - che viene letta dal direttore Paolo Carosi - ove viene evocata l'eventualità che, se i valori di libertà e giustizia propri della Resistenza non diventano vero patrimonio di un popolo, quel popolo sarà sempre a rischio che "forze demagogiche" riprendano il sopravvento.
Giovanni Del Vecchio