Sinossi *: Nell'inverno del 1949 il poeta Pier Paolo Pasolini, di 27 anni, viene incriminato per corruzione di minorenni e atti osceni.
Nel corso di una festa di paese, Ramuscello, nelle campagne friulane, il poeta aveva convinto alcuni ragazzini ad appartarsi con lui. Non vi fu violenza; non vi fu denuncia; i carabinieri di Vescovado procedettero sulla base di alcune "voci di paese". Il giovane Pasolini, poeta, articolista, insegnante di lettere, segretario cittadino del Partito Comunista, si ritrovò all’improvviso additato sui giornali regionali come indegno e depravato. Tutto il suo piccolo mondo crollò di colpo. Il padre, Carlo Alberto, Grand’Ufficiale di Guerra, piombò in una comprensibile depressione distruttiva. Il Provveditorato sospese il prof. Pasolini dall’insegnamento. Il Partito Comunista lo espulse ventiquattr’ore dopo le notizie di stampa, senza nemmeno convocarlo per sentire le sue ragioni. Disoccupato, umiliato, senza un soldo, accompagnato dalla madre Susanna, Pasolini prese un treno per il Sud in direzione di Roma. Con l’aiuto dello zio materno, la madre trovò impiego come governante in una casa borghese. Pasolini fu alloggiato in una stanza da una affittacamere. Non gli riuscì, per mesi e mesi, di trovare lavoro, pur adattandosi ad ogni possibile attività. La Roma del dopoguerra pulsava di popolo, di allegrie, di luci. Pasolini sognava, poi temeva la sua fine: che non avrebbe trovato mai più un lavoro, nessuno avrebbe pubblicato i suoi libri, nessuno lo avrebbe mai amato. Poi tornava a sognare.