Sinossi *: Il documentario “Accursio, il sindacalista” dedicato ad Accursio Miraglia, è un omaggio all’uomo ucciso dalla mafia il 4 gennaio 1947, a Sciacca, in provincia di Agrigento.
Accursio Graffeo, 26 anni, è un giovane autore di Sciacca, anche lui, Accursio, anche lui. Nel nome della memoria Graffeo ha deciso di affrontare un tema scomodo, recuperando e diffondendo la storia di Miraglia a beneficio di chi non la conosca o rischi di dimenticarla. Il suo è un video semplice ma schietto, partecipe ma attento, parziale – inevitabilmente - ma onesto. Ha il merito di ricostruire l'estrazione sociale, le condizioni di vita, le relazioni, le ambizioni personali e la rappresentazione del mondo che hanno condotto il sindacalista saccense nelle sue scelte di vita fino alla morte.
“Meglio morire in piedi, che vivere in ginocchio”, è la frase del guerriero messicano Emiliano Zapata Salazar che Accursio Miraglia aveva fatto sua al punto di morire ammazzato da Cosa Nostra piuttosto che piegarsi ad essa. Miraglia era un pittore, un poeta, un musicista, il presidente del maggiore teatro cittadino, un imprenditore, ma soprattutto, era un sindacalista, il presidente della Camera del Lavoro di Sciacca. Insomma era una figura credibile, come uomo, come siciliano e come sindacalista: il merito di Graffeo è di aver restituito ai nostri giorni un personaggio storico di tale spessore. Il pregio del documentario è la capacità di raccontare la vicenda di Miraglia, spesso colpevolmente dimenticata, con sguardo giovane, vivido e creativo, rispettoso ma moderno e capace di parlare a una nuova generazione che ha bisogno di riferimenti attendibili per ricostruirsi un'identità. C'è molto sapore di Sicilia nelle immagini del video realizzato dalla casa di produzione indipendente Artemisia Lab di Salvatore Gentile, con Dario Giuffrida alla cura del suono: ci sono i colori, c'è la luce, gli sfondi e i riferimenti al cinema siciliano, quello che vale, da Sedotta e abbandonata di Pietro Germi a Baaria di Giuseppe Tornatore.
Certo, restano in sospeso le domande cruciali, e, forse, proprio per questa ragione irrisolte: chi voleva morto Accursio Miraglia? E perché quando venne trovato il suo cadavere il sindacalista aveva con se una pistola? Di chi aveva paura? Cosa racconta l'assegno macchiato di sangue che fu ritrovato nella tasca della sua giacca? Graffeo non si avventura nell'inchiesta, non tenta neanche di cercare una risposta. Decide di lasciare che le domande irrisolte si depositino nelle riflessioni del pubblico come un seme gettato sul terreno. Quel terreno dei contadini siciliani che Miraglia aveva tanto a cuore. Quando i latifondisti non volevano cedere gli appezzamenti di terra ai braccianti, Miraglia, invece, si adoperava affinché fosse applicata la legge Gullo-Segni che ordinava lo scorporamento delle terre incolte dalle grandi proprietà terriere per affidarle a cooperative di contadini. Nel 1944 il sindacalista fondò la cooperativa “La Madre Terra” proprio allo scopo di far rispettare la legge. Ma questa scelta di responsabilità civile gli costò la vita in un ambiente viziato dagli interessi di parte e dai privilegi. E non solo a lui. Quattro mesi dopo la sua morte il 5 maggio dello stesso anno, il 1947, ci fu il massacro di Portella della Ginestra, la collina vicino a Palermo. Fu allora che il bandito Giuliano aprì il fuoco su una folla di contadini che celebravano la festa del lavoro. Furono anni, quelli, in cui molti sindacalisti siciliani persero la vita in nome dei diritti dei lavoratori. Che la storia di Miraglia riattualizzata e veicolata da video agili come quello proposto da Graffeo servano ai giovani siciliani, e non solo, per costruire un avvenire più libero fondato sul lavoro che nobilita e non sul privilegio che si fa valere con la forza. E neanche sul vile compromesso. Perché la Sicilia oltre e al di là della Sicilia della mafia può essere la Sicilia in cui hanno creduto uomini come Accursio Miraglia, Placido Rizzotto, Salvatore Carnevale, Carmelo Bongiorno, Paolo Battaglia, Danilo Dolci, Libero Grassi e Domenico Geraci. Ovvero sindacalisti, sacerdoti e imprenditori che hanno fatto dell'articolo 4 della costituzione, con cui la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro, una vera legge di vita.