Sinossi *: Un giornalista spregiudicato e arrivista è disposto a tutto pur di scoprire l’identità di Banksy. Saranno un ex componente della prima “banda di strada” di Banksy, un professore che sostiene di aver avuto come allievo il leggendario artista, un improponibile “socio” che ha pagato sulla sua pelle l’avventurosa esperienza e un gallerista sornione ad avvicinarlo alla soluzione dell’enigma. Ormai incastrato in un vortice dove verità e menzogna si confondono tra loro, ignaro dei segnali di pericolo emersi lungo il cammino, la discesa negli inferi del protagonista si conclude alla corte di Anubi.
Note:
“The Wild Bunch” non è una casa di produzione, bensì un gruppo di lavoro disposto a unire le proprie energie, le proprie idee, al fine di realizzare qualcosa, non importa se un prodotto cinematografico, fotografico, letterario o artistico in senso lato; l’aspetto importante è che ciò che pensiamo, tentiamo di concretizzarlo.
L’idea che ha portato alla scrittura del soggetto proviene da una conversazione tra i componenti del gruppo. Parlando di Banksy e di come fosse riuscito a portare la sua arte in così tanti luoghi, distanti e dissimili tra loro, senza essere mai notato; è emersa la supposizione: "E se ci fosse più di un Banksy?".
Il mistero che avvolge l’identità di Banksy ha contribuito a ricoprirne di fascino la figura. Le sue opere denunciano le assurdità della società occidentale, la manipolazione mediatica, l’omologazione degli individui, l’atrocità della guerra, la falsità della politica, l’inquinamento, lo sfruttamento minorile, la brutalità della repressione poliziesca, il feticismo che avvolge il collezionismo. Per veicolare questi messaggi, Banksy utilizza principalmente soggetti quali poliziotti, bambini, umili lavoratori, scimmie e ratti. Eppure, per quanto onorevoli siano questi presupposti, non appare così fuori luogo pensare a Banksy come a una mano disposta a veicolare determinati messaggi imposti da una “mente” decisa, se non a combattere, a puntare il dito contro il “sistema” votato al consumismo più sfrenato, ma forse più cinico, solo all’apparenza.
“I am Banksy” è che un’opera di fantasia in cui si confrontano due mondi distanti, ma allo stesso tempo uniti da un filo invisibile: il cannibalismo esercitato dalla società - in questo caso trasfigurato in un giornalista arrivista e senza scrupoli - e quello per l’appunto teoricamente puro dell’arte - rappresentato da Banksy -.
Inizialmente, era stata valutata la possibilità di realizzare “I am Banksy” in lingua inglese, con attori britannici. Eppure, con in mano la sceneggiatura definitiva, il protagonista è apparso connotato come il tipico giornalista rampante italiano: intuitivo, arrivista, per certi versi persino astuto, ma allo stesso tempo un po’ “provinciale”; incapace di cogliere i segnali di pericolo che gli vengono lanciati lungo il cammino.
Come location sono è stato utilizzato lo studio del pittore faentino Martino Neri; uno degli spazi adibiti a biblioteca del Monastero di Sant’Umiltà di Faenza; un pub faentino che si chiama realmente “Dog & Duck”; un enorme spazio espositivo dalla Fondazione Zoli di Forlì; i corridoi di un condominio popolare di Marina Romea e la taverna della regista. Tutti questi luoghi si trovano nell’arco di 35 km.
La scelta di Christian Balducci come direttore della fotografia ha rafforzato un sodalizio con la regista iniziato con il mediometraggio “Giro di giostra” e proseguito con il cortometraggio “Ágape”.
Inevitabile era che il montaggio fosse curato da Trevor Bishop; in quanto una delle persone maggiormente coinvolte nel progetto e a conoscenza della linea che la regista intendeva perseguire.
Samantha Casella e Marco Iannitello si sono conosciuti in treno, nel 2007. Non avevano mai lavorato insieme.