Sinossi *: Ci sono storie che nessuno conosce, anche se magari si sono sentite mille volte.
Ci sono vicende umane che rimangono sommerse come bottiglie sul fondo del mare e poi a un certo punto tornano a galla, per merito di persone ostinate e curiose, ma soprattutto spinte da un desiderio di giustizia.
Il massacro delle Fosse Ardeatine, a Roma il 24 marzo del 1944, tra i tanti compiuti dai nazisti nel nostro territorio, è uno dei più commemorati. Il numero delle vittime (335 di cui 75 di origine ebraica), il loro essere trucidate una accanto all’altra senza neanche avere avuto un processo, tutte innocenti e raccolte in modo casuale, lo ha reso una delle pagine più atroci dell’occupazione tedesca.
Quello che però nella memoria era andato perso è un numero di corpi ritrovati a cui non si era riusciti a dare un nome.
A partire dai primi anni 2000, a più di 60 anni dalla strage, tre giovani donne, una documentarista, un’archivista e una biologa forense, sono riuscite, collaborando insieme, a risolvere parte di questo mistero e a restituire alle famiglie, sparse in giro nel mondo, un’identificazione certa di alcuni di questi corpi ignoti, offrendo finalmente un luogo dove poter celebrare il proprio lutto.
Una storia piena di emozioni. Da Roma a Firenze, dall’Abruzzo alla campagna Londinese, fino alla città israeliane di Tel Aviv, il documentario insegue le strade che portano a far combaciare “un corpo a un nome”, riuscendo a combinare la rievocazione storica con l’esperienza reale, tanto da imbattersi per davvero, sul campo, in una scoperta inaspettata.
Note:
I Fatti Storici
Siamo nel pieno dell’occupazione tedesca della capitale iniziata nel settembre
1943. Il 16 ottobre 1046 ebrei sono rastrellati al Portico d’Ottavia e inviati ad Auschwitz. Sono mesi difficili. I resistenti compiono diversi attentati per opporsi all’esercito tedesco. Il più eclatante è quello del 23 marzo 1944. I Gap – gruppi di azione patriottica – fanno saltare in aria un carretto dell’immondizia riempito di tritolo al passaggio del reggimento “Bozen” in via Rasella al centro di Roma. Perdono la vita 33 soldati. I tedeschi si infuriano. Hitler ordina di uccidere subito cinquanta italiani per ogni soldato morto. Ma l’ordine appare subito troppo complicato da eseguire. Viene modificato: allora dieci italiani per ogni soldato morto. Il colonnello delle SS Herbert Kappler è incaricato di compilare la lista degli uomini da eliminare. Il 24 marzo 1944 335 prigionieri sono prelevati dalle carceri di via Tasso e di Regina Coeli e portati a morire in una zona immediatamente fuori la città, dove ci sono delle cave di pozzolana. Sono uomini giovani e anziani, militari e civili, ebrei – anche stranieri – e cristiani. Ce ne sono cinque in più, finiti “per sbaglio” nelle liste. A tutti loro è riservato il Genickschuss, il colpo di nuca alla testa. Il capitano Erich Priebke controlla i nomi nelle liste man mano che i prigionieri entrano nelle cave suddivisi a gruppi di cinque. Le esecuzioni si protraggono dalle 15.30 alle 20. Alla fine vengono esplose delle mine per nascondere il massacro e impedire l’accesso alle cave.