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Note di regia del film "Boogie Woogie"


Questo film racconta diverse vicende realmente accadute in un periodo difficile e al tempo stesso esaltante della nostra storia. Di quel periodo, dei dolori che affliggevano la gente e delle speranze che li aiutavano a sopravvivere e ad amare la vita, si sta perdendo la memoria.
Per quanto possibile chi ricorda ha il dovere di raccontare le grandi e le piccole storie di quegli anni perché soltanto conoscendo il passato si può interpretare il presente, prefigurare il futuro e sottrarsi alla possibilità che l'oblio favorisca il risorgere di antichi mali.
Thomas Mann definiva il narratore un "mormorante evocatore del passato remoto, qualcuno che distribuisce qua e là manciate di ricordi, di sensazioni, d'emozioni conservati nel profondo del cuore e che all'occorrenza risuscitano per misteriosi richiami". Questi misteriosi richiami sono tornati molto spesso nel corso della mia vita, ma soltanto nella maturità sono riuscito a decifrarli, a inserirli in una dignitosa struttura narrativa, a costruire personaggi che suppongo siano, seppur con comportamenti a volte bizzarri, reali e credibili nel contesto del racconto. D'altra parte mi sono limitato a riportare sulla pagina scritta la memoria di persone che hanno accompagnato la mia infanzia e adolescenza.
Il risultato è un film corale che cerca di cogliere il senso di un decennio cruciale della storia italiana (1943-1953), e soprattutto della Calabria, durante il quale si sono consumati gli entusiasmi della rinascita e del cambiamento, il passaggio traumatico dalle macerie della guerra -economiche, fisiche e spirituali - alla ricostruzione del paese, delle coscienze e della democrazia, fra mille contraddizioni e condizionamenti.
II nucleo attorno a cui si avvolge e si evolve la spirale del racconto è una famiglia aristocratica, i Santavelica, in cui la bizzarria in parte, e gli ideali rivoluzionar! dall'altra, hanno operato una profonda mutazione che porta i suoi componenti a prediligere emozioni e sentimenti, e a disinteressarsi dei privilegi e del potere.
Due figure incarnano lo spirito dei Santavelica, Fabrizio, detto il marchese rosso, comunista, condannato dal tribunale speciale fascista, partigiano resistente e infine capace di capire che la democrazia non si costruisce con il furore e il ribellismo. L'altra figura determinante della mutazione della famiglia è Sisina, nata in America da Luigi Santavelica, pianista, e da Thelma Talberg, cantante californiana. In un incidente stradale muore la madre e Luigi, preda di una terribile depressione che lo spinge a cercare sollievo nell'alcol, privo di risorse, decide di tornare in Italia portandosi dietro la figlia. Sisina resta in Italia per tutto il periodo della guerra e nei giorni successivi allo sbarco degli alleati sul continente conosce e sposa un soldato americano che muore durante lo sbarco in Normandia. A guerra finita Sisina torna in America e fa, come il cugino Fabrizio, come il suo stesso padre e per estensione come gli zìi, una scelta eversiva, il lavoro invece del privilegio ereditato. Entra a far parte della famiglia operaia del marito morto, si risposa con un operaio e il mondo in cui ha vissuto gli anni della formazione, dell'amore e del dolore, la Calabria, la grande villa dei Santavelica, tutto resta una dolce memoria.
Una nota a parte merita in questa presentazione o prefazione alla sceneggiatura (cioè al progetto di massima che prefigura il film) il luogo dove la vicenda è in prevalenza ambientata: la Calabria, la più disperata, depressa, povera, emarginata regione d'Italia, che ancora oggi soffre per un forte deficit culturale , oppressa e fortemente condizionata dall'ingerenza dei poteri criminali fin nei minimi ingranaggi del potere politico ed economico.
La narrativa calabrese del novecento (Corrado Alvaro, Francesco Perri, Mario La Cava, Fortunato Seminara, Saverio Strati, e, seppure in maniera differente, Leonida Repaci) ha raccontato della Calabria soprattutto la miseria i cui riflessi antropologici e spirituali si risolvevano nella rassegnazione o nella fuga. Certo questo era l'aspetto prevalente della terra e delle persone di cui la narrativa calabrese si occupava. Ma c'era - c'è stato mi verrebbe da dire - un aspetto diverso e meno disperante, spiritualmente ricco e purtroppo perdente nel confronto con le tribù baronali dei latifondisti avidi e gretti, e con la classe emergente impregnata di spirito mafioso e infettata dal clientelismo. Mi riferisco alle rare famiglie di tradizione liberal-rivoluzionaria come i Santavelica, che la trionfante in cultura dell'avidità ha spazzato via dalla storia della regione.
Restaurare la memoria di quell'aristocrazia della cultura più che del privilegio, così come della sana borghesia imprenditrice legata alle colture deM'olio e degli agrumi, strozzata dalle banche e dalla 'ndrangheta, credo che in qualche modo possa servire a dire ai giovani avviliti dalla disoccupazione e dalla mancanza di prospettive, avete una storia alle spalle, riscoprite una tradizione di cui essere orgogliosi e opponetevi con dignità a una situazione umiliante.
Perché la commissione possa orientarsi meglio nel giudizio sulla validità del progetto (mai, per favore, dimenticando che si legge una sceneggiatura e non si vede un film) desidero soffermarmi brevemente sulla parte musicale, che già dal titolo rivela la sua importanza. Boogie Woogie - o jetterbug - è comunemente considerato un ballo ma potremmo definirlo una categoria dello spirito dell'America profonda, evoluzione del blues di tradizione afro­americana. Boogie Woogie è anche il ritmo della liberazione dell'Europa dal fascismo e dal nazismo, dell'irrompere della vitalità della giovane America nella vecchia e stravolta Europa delle dittature. Il ritmo strutturale che mi propongo di dare al film è quello del jazz degli anni trenta e quaranta del novecento, inteventi di strumenti solisti - storie personali - e coralità, non a caso già nella sceneggiatura ci sono alcune indicazioni musicali e almeno tre momenti che possiamo definire di film musicale classico.

Andrea Frezza