BERLINALE 68 - "La Terra dell'Abbastanza" in Panorama
Periferia romana, due ragazzi, famiglie disfatte, disperazione. E la malavita è in agguato, sempre alla ricerca di nuova mano d’opera fidata, attenta a cogliere l’occasione giusta per coinvolgere nei traffici peggiori anche chi in fondo ha il cuore puro.
Ambientato in un quartiere che avevamo visto per la prima volta nel 2009, in un documentario di
Andrea Segre, si parla un romanesco moderno e nervoso, inquinato dalle migrazioni recenti che lo hanno reso più volgare. La normalità non esiste e tutto è sopra le righe o disperatamente bisbigliato, proprio lì dove la vita scorre in genere nella routine più assoluta. Certo il cinema spesso va a raccontare momenti eccezionali di vite normali ma è il sapore ad essere diverso e a corrispondere raramente con quella verità che è diventata il marchio di fabbrica di molto cinema italiano recente.
Fabio e Damiano D’Innocenzo scrivono e dirigono la loro opera prima raccontando di Mirko e Manolo,
Matteo Olivetti e Andrea Carpenzano, dei loro genitori, gli ottimi
Milena Mancini, madre di Mirko e
Max Tortora il padre di Manolo, e del boss della malavita di zona, un
Luca Zingaretti misurato e credibile nella sua spietatezza.
È proprio la coppia protagonista però a non reggere il ruolo tra sparate gratuite, urli, strilli, parolacce superflue, masticate a bocca aperta, tirate di naso e smorfie varie che fanno tanto, troppo borgataro (da cinema) incattivito.
17/02/2018, 23:00
Stefano Amadio