PUOI BACIARE LO SPOSO - Tutti favorevoli... anzi no
E un film molto scritto questo di
Alessandro Genovesi. O meglio, molto costruito in fase di sceneggiatura dal regista insieme a
Giovanni Bognetti, con i dialoghi, le scene e i personaggi che sembrano lasciare niente al caso. Un meccanismo quasi perfetto che porta dritto a un epilogo quanto mai prevedibile.
Di film in cui due ragazzi gay che stanno insieme e vogliono, o devono, sposarsi ne abbiamo visti parecchi e "
Puoi baciare lo Sposo" non esce troppo dai binari di un bisogno di trasgressione dei temi e di conservazione dei sentimenti, di voglia di affermare la propria diversità e di irrinunciabile esigenza di tradizioni, come la famiglia, mammà e papà, i testimoni, il pranzo di nozze, il matrimonio.
Sì proprio la famiglia italiana sembra ormai l’ultimo, più alto ostacolo da superare per affermare se stessi e, nel caso, la propria omosessualità, ottenendo ciò che spetta per diritto e anche per legge. Ma non c’è niente da fare, partendo da una vita libera nell’aperta, e soprattutto lontana, Berlino è impossibile non ricadere nella trappola del benestare di mammà e papà, in una società, spesso
meridionale, che impone ai giovani bamboccioni di vivere secondo “le regole”. Dunque papà contrario (
Diego Abatantuono), mamma (
Monica Guerritore) fissata con la cerimonia di nozze, e poi anche la mammà dello sposo (
Rosaria D’Urso) a dir un sì poco convinto per amore del figlio; di fronte, una società civile che sembra aver sospeso il giudizio almeno fin quando il problema non compare in casa propria.
E allora sia il frate (
Antonio Catania), sia i preoccupati assessori, sia gli amici sembrano tutti felici e contenti che Paolo (
Salvatore Esposito) e Antonio (
Cristiano Caccamo) convolino a nozze.
E qui arriva la sceneggiatura precisa e senza sbavature, ma anche priva di colpi di scena, perché forse ci vuole coraggio per trasgredire nella scrittura di una storia già trasgressiva nel contenuto, almeno nelle intenzioni. E infatti alla penna di
Veronesi e Bognetti sembra essere finito l’inchiostro quando era il momento di inventare una svolta, una novità capace di rendere amara una commedia prevedibile, tra non detti e origliate, salvata soltanto dalla ritrosia e da qualche intervento di
Diego Abatantuono.
E anche gli interpreti sembrano perfetti, bravi ma puliti e stirati come in un film; gay ma trasparenti e belli di mammà come
Esposito e Caccamo, comprensivi e intransigenti come la monocorde
Monica Guerritore, sempre seria e drammatica neanche le fosse morto il gatto.
Svampita e simpatica è
Diana Del Bufalo, trasgressivo ma in fondo inoffensivo il personaggio di
Dino Abbrescia, petulante e ossessiva l’ex di turno di
Beatrice Arnera, saggio e moderno il frate di
Antonio Catania che strizza l’occhio a
Papa Francesco.
E poi c’è l’infelice
Diego Abatantuono che con qualcuna delle sue battute rialza il livello di una commedia che sembra guardarci negli occhi per farci la morale sull’omosessualità senza rendersi conto di essere essa stessa moralista e antica sull’idea dei rapporti familiari.
27/02/2018, 16:57
Stefano Amadio