Note di regia di "Il Capitano Maria"
“Il Capitano Maria” è la storia di una donna. Non una super eroina, ma una persona, una madre ed un ufficiale dei Carabinieri, chiamata a svolgere un arduo duplice compito, pubblico e privato: salvare i suoi due figli, Luce, un’adolescente complicata e Riccardo, un bambino sensibile che ha bisogno di lei e allo stesso tempo proteggere la città che le è stata affidata, un bellissimo e travagliato porto del sud.
L’interprete ideale mi è apparsa da subito Vanessa Incontrada, con cui avevo lavorato in “La classe degli asini” un film tv su un’altra donna normale alle prese con un compito speciale. Vanessa è un’attrice dotata di grandissima empatia, di naturalezza estrema, capace di inserirsi e divenire il fulcro di un cast complesso, come questo, composto di attori professionisti e non, di bambini e adulti delle più varie estrazioni professionali. È stata l’anima di questa storia, ha dato grazia e profondità al ruolo, ritagliandosi un personaggio che, per risolvere gli enigmi che si trova a fronteggiare, usa, oltre ai metodi tecnici e investigativi più moderni, un’arma speciale: il senso di umanità, la capacità di comprendere la complessità dei sentimenti che deve indagare. Vuole portare alla luce la verità, punire i colpevoli, ma soprattutto cambiare le cose e guarire le ferite provocate dal male che è stato fatto.
Maria si trova ad affrontare una realtà criminale cui è antitetica, in quanto ufficiale dei Carabinieri, ma ancora di più in quanto donna. Il potere mafioso che domina la sua città è un mondo fatto da uomini, profondamente maschile, nel senso più negativo. Un potere vecchio e in crisi, ma proprio per questo ancora più pericoloso, che si è alleato con una multinazionale che gestisce i traffici del porto con spietata disumanità. Un potere incarnato dall’anziano boss Patriarca, e dai suoi figli, ma anche dallo “Svedese”, un manager dalla misteriosa provenienza che usa la città di Maria come terminale di una rete di traffici internazionali che non tollera intromissioni.
Alleata naturale del capitano nella sua guerra contro questo potere vecchio e violento finisce per essere un’altra donna, una giovane e misteriosa hacker, Annagreca Zara (interpretata da Camilla Diana), che guida un gruppo di ragazzi ribelli, decisi a contrastare la minaccia economico-criminale che assedia la città. Dal punto di vista della regia ho cercato di raccontare una storia piena di elementi realistici, scaturiti dalla cronaca di questi anni della globalizzazione, con il linguaggio di un grande racconto popolare, una cifra che potesse gettare uno sguardo oltre gli eventi, nel cuore delle situazioni, nei loro risvolti psicologici e umani.
Quello del capitano Maria Guerra è un viaggio nei segreti di una città, con la missione profonda di sanare il trauma della morte di suo marito, morto anni prima in circostanze misteriose. Per coincidere con quello della protagonista lo sguardo della macchina da presa doveva essere umile, comprensivo, intimista, anche di fronte alle sequenze d’azione o alle scene più drammatiche. Uno sguardo il più possibile pieno di innocenza, di partecipazione. Che non vuole dire rinunziare a mettere in scena le brutture, il male, anzi..., come si fa nelle favole, mostrandone, oltre quello pericoloso, il lato grottesco, innaturale, malsano. Nei confronti di luoghi, personaggi, situazioni abbiamo cercato di avere il rispetto, la semplicità di chi appunto si appresta a raccontare una favola.
Credo che questa serie potesse essere girata solo in Italia. Nessun altro paese avrebbe potuto offrire la varietà di luoghi e di suggestioni che sono state messe insieme dalla scenografia di Massimiliano Nocente, in una mescolanza di antichissimo e moderno. Un puzzle che mette insieme la protettività di un comando dei carabinieri in riva al mare, la villa-fortezza dei mafiosi Patriarca, le grotte sottomarine e le immense navi portacontainer, i rifugi tecnologici di Annagreca e dei suoi hacker, annidati in cave abbandonate o in chiese ipogee sconsacrate e il loro mondo virtuale, il deep web popolato di avatar e misteri… e tra tutte (la location cui sono più legato) la casa di famiglia dei Guerra sospesa su un porticciolo incantato, dove Maria riconduce i suoi figli. Non è una città identificabile con un nome ed una geografia reale, ma più un luogo simbolo di una Italia speciale, con le sue meraviglie e le sue contraddizioni.
Il cast è molto ricco, composito, vi si trovano interpreti di ogni età e provenienza. Il compito di sceglierlo e dirigerlo è stato emozionante, una festa. Vorrei ringraziare tutti, per prima Vanessa Incontrada e poi Giorgio Pasotti, Andrea Bosca, Carmine Buschini, Camilla Diana, Beatrice Grannò, il giovanissimo Martino Lauretta, Gino Nardella, Livio Beshir, Christian Burruano e tutti gli altri. Come non posso che essere riconoscente al cast tecnico che mi ha accompagnato in questa avventura, Marcello Montarsi alla fotografia, Massimiliano Nocente, già nominato, Mary Montalto che ha disegnato i costumi, Francesco Beltrame che ha organizzato il nostro circo indisciplinato, Barbara Daniele che lo ha tenuto insieme, Simona Paggi e Stefano Chierchiè che hanno scandito il ritmo della storia nel montaggio, Francesco Cerasi che ha composto e diretto le musiche, e la Anonima Disegni che ha saputo ideare il mondo del deep web di Annagreca Zara e i suoi avatar di fuoco e ghiaccio.
Vorrei ringraziare infine Carlo Degli Esposti e la Palomar per aver sostenuto questo progetto, produttivamente ambizioso e difficile e la Rai per averlo sposato, in particolare tutta la squadra di Rai Fiction che ha seguito con creatività e fantasia tutta la lavorazione.
Da ultimo devo rivolgere un ringraziamento personale a Max Gusberti, che ha svolto nei confronti della serie il ruolo di un mentore affettuoso.
Andrea Porporati