Note di regia di "Aldo Moro - Il Professore"
Dopo Paolo Borsellino - Adesso tocca a me, il nostro gruppo di lavoro affronta un altro grande “mistero” italiano, il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro. La vicenda viene raccontata dal punto di vista degli studenti di Moro, i ragazzi che hanno avuto lo statista come docente di Istituzioni di Diritto Penale nella Facoltà di Scienze Politiche dell’Università La Sapienza di Roma. Per farlo abbiamo avuto un consulente speciale, Giorgio Balzoni, giornalista ed ex allievo di Moro molto legato al professore (è stato anche suo testimone di nozze). Giorgio ha seguito tutte le fasi della lavorazione, ed è stato presente anche sul set, trasmettendoci con garbo e attenzione le sue sensazioni e i suoi utili suggerimenti.
Sono convinto che i luoghi hanno un’anima. Con questa idea, condivisa con Giannandrea Pecorelli che assieme a Tinny Andreatta è il vero appassionato animatore di questi approfondimenti sulla storia del nostro paese, abbiamo fortemente voluto girare nei luoghi dove Moro insegnava realmente. Abbiamo quindi ambientato le scene della nostra docufiction nelle aule, nei corridoi e nei giardini della Facoltà di Scienze Politiche de La Sapienza, luogo dove c’è stato anche l’omicidio di Vittorio Bachelet, altro professore ucciso senza pietà dalle Brigate
Rosse nel 1980. L’anima di un luogo si trasmette tramite le emozioni di chi lo attraversa. Volevamo che Sergio Castellitto (straordinario e per me impareggiabile interprete di Aldo Moro) e i ragazzi che interpretavano gli allievi del professore sentissero attraverso quelle mura, aule e corridoi, la vita di quegli anni, e che sentissero anche le contraddizioni e la durezza di quel difficile periodo
Raccontiamo nel nostro film che in quei corridoi pieni di fermento, il professore aveva l’abitudine, dopo la lezione, di fermarsi a parlare con i suoi studenti e non solo di diritto. Era per lui un modo di sentire il polso della società e di capire i mutamenti e le istanze dei più giovani, vero motore del futuro. Lì Moro spiegava loro che la politica non era un lavoro ma un servizio reso alla società, e che il suo vero lavoro era fare il docente. Infatti pensò in più occasioni di lasciare il “palazzo” per dedicarsi all’insegnamento.
Ai suoi ex studenti (come Giorgio) e ai suoi collaboratori universitari (come Saverio Fortuna) piace ancora oggi pensare che, se fosse uscito vivo dalla prigionia delle BR, avrebbe lasciato la politica e si sarebbe dedicato alla docenza. Ecco, i muri di Scienze Politiche contengono ancora le convinzioni e le idee del professor Moro. Noi girando lì gli abbiamo solo ridato voce.
Quel che è stato subito evidente sin dalle prime stesure del copione di Franco Bernini, al quale ha collaborato lo stesso Giannandrea, io e Giovanni Filippetto, che ha curato anche le interviste, è che la visione del carcere e della pena che il professor Moro insegnava ai suoi studenti era una grande possibilità narrativa se vista in rapporto alla detenzione e la pena che lui stesso fu costretto a subire dalle Brigate Rosse. Moro aveva una visione umanitaria della reclusione e quindi non solo era contro la pena di morte ma anche favorevole all’abolizione dell’ergastolo, perché lo vedeva privo di speranza e perché il fine ultimo della pena (ma questo lo dice chiaramente anche il nostro ordinamento!) è la rieducazione e la riabilitazione e non certo l’afflizione.
Quest’uomo, che aveva quindi un grande senso etico (e forse profondamente cristiano) della misura della pena, è stato costretto a vivere quasi due mesi in un “carcere del popolo” e a subire la più terribile delle condanne, la pena di morte.
Questo il motivo per cui Moro professoreMoro prigioniero è diventato il nodo centrale della drammaturgia del nostro racconto.
C’è poi una questione che riguarda i giovani che hanno partecipato a questo film, e quelli che speriamo lo vedranno. Moro e quel periodo complicato che sono stati gli anni 70, per la generazione dei nostri giovani sono una specie di buco nero. Ne sanno molto poco, quasi nulla. Che si potesse uccidere o essere uccisi, o mettere a repentaglio la propria vita per delle ideologie è stata per loro una vera e propria scoperta.
Il pensiero credo condiviso da noi autori è che questo vuoto storico e di conoscenza vada colmato. I più giovani devono sapere quale è la storia da cui vengono, e che il rapimento e l’omicidio di Aldo Moro hanno influito in maniera determinante sulla storia della nostra fragile Repubblica. Devono sapere che le forze che hanno messo in atto, o non impedito, quella terribile esecuzione sono sempre in agguato.
Francesco Miccichè