Note di regia di "Buio"
Vorrei tranquillizzare tutti: Buio non è un film autobiografico. Niente di ciò che racconto è
successo. Eppure, Buio parla di me.
La prima immagine di questo film – il mio primo – è quella di una ragazza che sta soffocando, cerca la luce nell’oscurità di un interno domestico. Vengo da una famiglia marchigiana molto religiosa, di quelle in cui alle 7 di sera si diceva il rosario: a questa educazione oggi sono grata, soprattutto per il senso del sacro che mi ha regalato, ma a suo tempo ha significato soffrire di sensi di colpa, per un “terrore” del peccato che pervadeva un po’ tutto, specie in una famiglia con sei figlie femmine.
Il mondo fuori? Contaminato, dunque meglio restare a casa, evitare le feste e le discoteche. Da quel senso di claustrofobia nascono molte delle atmosfere di Buio: la paura del peccato della ragazza di provincia di allora è diventata nel film quella dell’Apocalisse; mentre nella Stella con l’elmetto che va alla scoperta del mondo rivedo me stessa fuorisede all’Università di Bologna, all’improvviso sola di fronte all’Universo, insieme impaurita e coraggiosa.
Buio nasce da tutto questo, ma anche dalle mie esperienze più recenti: in primis un set, quello di Non uccidere, che mi ha portato in contatto diretto con la morte. Da amante del cinema d’autore duro e puro mi sono ritrovata catapultata tra scene del crimine, omicidi, lame di coltelli. E tanti mesi a girare all’obitorio di Torino, con l’odore di formaldeide che ti avvolge e ti fa scorrere le vite – degli altri, ma anche la tua – davanti agli occhi.
Queste immagini mi sono rimaste dentro, mi hanno guidato alla scoperta di film che mai avrei pensato di vedere, e mi hanno svelato un cinema d’autore che sempre di più si sta ibridando con le forme e le atmosfere del “genere”: c’erano sicuramente modi più realistici per raccontare una ragazza di provincia soffocata dalla famiglia, ma io amo cercavo un’astrazione che – tornando con la mente ai miei ricordi di giovane spettatrice davanti alla tv – trovavo più in certi film à la Hitchcock che in un cinema naturalistico. Del genere – o dei generi: favola femminista, sci-fi ambientalista con qualche sconfinamento nell’horror, thriller – ho sfruttato la capacità di affrontare senza prediche anche alcuni grandi temi di oggi (quella del film è un’apocalisse climatica che speriamo i Fridays for Future ci permettano di scongiurare). Allo stesso tempo, non ho voluto usare le atmosfere livide e i colori freddi e desaturati tipici di certo cinema d’autore: i colori, come diceva Goethe, hanno un potere salvifico. E io ho cercato per Stella, Aria e Luce i colori più belli, per consolarle e accompagnarle nel loro cammino di salvezza.
Non è stato facile fare un film così, in Italia. Da indipendenti, il produttore Claudio Corbucci e io ci siamo riusciti, e ne siamo fieri: Buio è un bildungsroman in piena regola, un inno alla vita e alla forza dell’adolescenza che trova una via d’uscita. Sempre.
Emanuela Rossi