MADE IN ITALY - Nascita dell'eccellenza della moda italiana
Anni ’70. L’Italia è in subbuglio tra lotte studentesche e operaie nel pieno degli anni di piombo, del sangue e delle bombe, delle battaglie civili, delle rivendicazioni da parte delle donne dei loro sacrosanti diritti, delle differenze generazionali. A Milano si sta svolgendo anche un’altra rivoluzione, per molti marginale e frivola ma invece fondamentale per la nascita di un’industria italiana apprezzata in tutto il mondo: quella della moda.
“Made in Italy”, la nuova fiction Mediaset, dal 13 su Canale 5 e già disponibile in streaming su Prime Video, racconta le vicende di fantasia di Irene (
Greta Ferro) figlia di immigrati del sud che a un futuro da casalinga con il marito impiegato sceglie quasi per caso la carriera di giornalista di moda presso la rivista “Appeal”. Qui la ragazza riesce subito a farsi valere e a diventare parte integrante di un mondo sfavillante, ricco di insidie ma anche di possibilità uniche e irripetibili che la figlia di un operaio mai avrebbe pensato di vivere. Irene incontra gli stilisti che proprio negli anni ‘70 muovono i primi passi, e da quel momento il pret-à-porter italiano surclassa l’haute couture francese.
Diretta da
Luca Lucini e Ago Panini e creata da
Camila Nesbitt la serie Mediaset in otto puntate appare da subito scritta sulla falsariga del cult “Il diavolo veste Prada”: c’è Irene come Anne Hathaway alle prese con un mondo ostico che le è estraneo ma che con la sua ingenuità e talento riesce a conquistare; c’è
Margherita Buy nei panni di Rita Pasini, firma di punta della rivista, che appare una versione sottotono della Miranda Priestley interpretata dal premio Oscar Meryl Streep e tutte quelle dinamiche dello snob ma affascinante mondo della moda.
Una fiction che si lascia guardare ma che come sempre finisce per essere un prodotto di puro intrattenimento fine a sé stesso destinato dopo la messa in onda a essere dimenticato. L’idea è più che apprezzabile perché racconta insieme a una storia di emancipazione femminile la nascita e lo sviluppo del prêt-à-porter italiano e fa conoscere le dinamiche delle redazioni giornalistiche dell’epoca, ma la messa in scena è piatta e piena di cliché, i dialoghi didascalici, gli espedienti narrativi poco credibili e soprattutto è assente l’epicità nel raccontare gli stilisti che hanno reso grande il nostro Paese, osannati e soprattutto copiati in tutto il mondo: Walter Albini (
Gaetano Bruno), Giorgio Armani (
Raoul Bova), Rosita e Ottavio Missoni (
Claudia Pandolfi e Enrico Lo Verso), Krizia (
Stefania Rocca), solo per fare qualche esempio. Proprio loro diventano quasi delle comparse invece che essere protagonisti assoluti ai quali vengono fatte pronunciare delle battute che sembrano degli slogan e la cui carriera e importanza viene raccontata attraverso veloci “spiegoni” in slideshow che rompono il ritmo della narrazione.
Il percorso di Irene che da semplice stagista diventa una delle figure più importanti e innovative del giornalismo di moda ricorda tanto quello, in un contesto diverso, di Peggy Olson della serie di successo “Mad Men” ma qui il personaggio non ha profondità, né un naturale e graduale sviluppo e la sua scalata al successo è troppo veloce e improbabile per risultare verosimile. Per la nostra fiction, tranne alcuni casi, c’è ancora tanta strada da percorrere.
Nel cast anche
Fiammetta Cicogna, Ninni Bruschetta, Anna Ferruzzo, Maurizio Lastrico, Valentina Carnelutti, Erica del Bianco, Sergio Albelli e Giuseppe Cederna.
11/01/2021, 17:16
Caterina Sabato