ISREAL 6 - Un programma speciale "Essere Donne
le Esploratrici del Cinema (1940-1980)"
In occasione del 150° anniversario dalla nascita della scrittrice Grazia Deledda (della quale il complesso museale dell’Istituto Regionale Etnografico si occupa di gestire la Casa natale e celebrarne la memoria con congressi e pubblicazioni),
IsReal – Festival di Cinema del Reale di Nuoro, in programma a Nuoro dal 25 al 30 maggio prossimi, organizzato da ISRE in collaborazione con Banco di Sardegna e Fondazione Sardegna Film Commission, omaggia la ricorrenza con
Essere Donne, un programma retrospettivo curato da Daniela Persico e dedicato ad alcune figure fondamentali della regia al femminile.
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Non è appropriato definirle pioniere, visto che fin dagli albori dell’invenzione cinematografica le donne trovano un loro spazio d’azione in un campo ancora in totale definizione" – ha dichiarato la curatrice – "
quanto piuttosto delle esploratrici, mosche bianche in un territorio d’egemonia maschile (quello del cinema tra gli anni Quaranta e Settanta), che riescono a trascendere addentrandosi in nuovi territori ancora ampiamente da scoprire. Senza paura di infrangere i codici della rappresentazione vigente, armate solo del buon senso e di quella artigianalità che permetterà loro di realizzare capisaldi della Storia del cinema ‘con quello che a Hollywood si spende per il rossetto’, come dirà Maya Deren".
I primi quattro programmi che compongono l’omaggio "
Essere Donne", che prende il nome dal film della documentarista italiana
Cecilia Mangini scomparsa all’età di 94 anni proprio a gennaio 2021, raccolgono le opere imprescindibili di studiose, poetesse, artiste e performer che non hanno avuto paura di mettersi dietro la macchina da presa per sperimentare le possibilità relazionali del mezzo. Proprio a questo tema è legato il programma d’apertura che attraversa mezzo secolo mettendo a confronto le pratiche dirompenti di quattro artiste che con le loro opere hanno cambiato la relazione con il soggetto filmato: l’antropologa statunitense Margaret Mead che riprende le danze di Bali negli anni Trenta rompendo dei tabù sulla rappresentazione di una cultura lontana (in Dance and trance in Bali, montato nel 1952); la performer Maya Deren che fa compiere alla camera evoluzioni al ritmo di danza entrando in sintonia con il rituale Wu-tang (in Meditation on Violence, 1948); la poetessa iraniana Forough Farrokhzad che si avvicina ai lebbrosi, esclusi dalla società, restituendo loro attraverso le immagini la dignità negata (in The House Is Black, 1962); fino all’artista vietnamita Trinh T. Minh-Ha, che con il suo primo video stabilisce nuove assonanze nell’indagine etnografica ma al contempo intima popolo Sereer in Senegal (Reassemblange, 1982).
Il secondo programma si concentra su un momento fondante della presa di consapevolezza femminile nella società, tra gli anni Sessanta e i Settanta: periodo in cui la lotta politica passa anche attraverso lo stare dietro la macchina da presa, come segno di presa del potere sull’immagine della donna nel mondo dei media. Antesignano proprio il film di
Cecilia Mangini da cui prende il nome la rassegna, che parte dall’immagine artefatta trasmessa dalle pubblicità per poi dare spazio alle donne-lavoratrici, inascoltate nei loro diritti di madri e di operaie (Essere donna, 1964); poi dai filmati sperimentali della svedese Gunvor Nelson, in cui la protagonista acquista la sacralità laica di colei che dona la vita offrendo il primo parto all’occhio del cinema (Kirsa Nicholina, 1969), si passa a quelli militanti di Carole Roussopulos, che traduce in cinema i circoli di autocoscienza femministi consegnando al presente problematiche tutt’altro che sopite (Y’a qu’a pas baiser, 1971) e all’eclettica cineasta Agnès Varda che ritrae le donne con un pizzico d’ironia liberatrice (Réponse de femmes, 1975), cifra stilistica che ritorna nella performance filmata dall’americana Su Friedrich (Cool Hands, Warm Heart, 1979), ormai rivolta a una società pronta ad immaginare altre forme di sessualità.
Il terzo programma è un omaggio all’autrice che più di tutte ha marcato un cinema ad “altezza di donna”:
Chantal Akerman, che con le sue inquadrature segna uno stato dell’anima che è anche una presa di distanza dalle consuetudini del cinema d’autore maschile. News from Home (1977), uno dei suoi film più intimi e sofferti, affronta il rapporto con la madre, sollevando interrogativi sull’eredità di un’educazione da cui si sono prese le distanze ma di cui si sente ancora addosso il peso. Il quarto programma allarga lo sguardo ad autrici irriverenti, che hanno messo al centro della loro ricerca una battaglia politica che partiva dal femminismo per abbattere lo sfruttamento sociale e la discriminazione: dalla prima rappresentazione esplicita di una coppia lesbica di Barbara Hammer (Dyketactics, 1974), autrice che in seguito si dedicherà al documentario sociale, alla testimonianza ambigua dell’omosessuale afroamericano Jason, la cui autenticità viene più volte pungolata dalla filmmaker Shirley Clarke (Portrait of Jason, 1967).
Il cinema, grazie a questi sguardi “al femminile”, ha infranto i tabù della rappresentazione (da quelli più eclatanti come il parto e l’omosessualità, fino a quelli meno evidenti, come lo svelamento del volto delle operaie e dei corpi in trance), ma ha anche aperto l’esplorazione di territori oggi molto in voga, dall’antropologia partecipata sempre più vicina a un cinema immersivo fino alla relazione tra cinema e arte contemporanea che gioca su una pluridisciplinarità e una libertà di pratiche cara ad autrici come Deren, Akerman e Varda.
L’omaggio si chiude con uno sguardo al futuro: nella speranza che si raggiungano le desiderate pari opportunità, ma nella consapevolezza che la strada da percorrere sia ancora lunga, si offre uno spazio a quattro giovanissime filmmaker che stanno emergendo nel panorama del cinema del reale italiano: Caterina Biasucci, Giulia Cosentino, Doriana Monaco e Perla Sardella.
Un’occasione di scambio tra chi ha segnato la storia e chi si trova a compiere i primi passi in quella stessa direzione.
11/05/2021, 12:04