ADDIO MONICA - A 90 anni ci lascia la Stella del nostro cinema
Anticonformista, così diversa da tutte le sue colleghe che dagli anni ’50 in poi sono apparse sul grande schermo:
Monica Vitti in un universo di maggiorate, brune, maliarde era in controtendenza: magra, bionda, complessa, come i personaggi borghesi interpretati nei film di Michelangelo Antonioni che la rese l’attrice dell’incomunicabilità, da Claudia de “L’avventura” (1960), a Valentina de “La notte” (1961), fino a Vittoria de “L’eclisse” (1963).
Monica Vitti diventa per Antonioni una musa ispiratrice, oltre che sua compagna per diversi anni, protagonista della trilogia che metterà al centro la donna moderna, con le sue inquietudini e nevrosi, con le sue domande esistenziali, sempre alla ricerca di sé stessa. Una carriera che sembrava segnata da questo “stigma”, per lei che fare l’attrice significava entrare e uscire da un personaggio, mutare in continuazione, vivere più vite, tanto da rispondere a una provocatoria Oriana Fallaci che le chiedeva cosa fosse l’alienazione: “A me lo chiede? Io che ne so? Io la odio a tal punto che al solo udirla mi raggrinzo tutta come se udissi una parolaccia. Non l’ho mica inventata io. Siete voi giornalisti che l’avete inventata”.
Monica Vitti è riuscita a slegarsi presto da ogni definizione univoca, capace di spiazzare, di tramutarsi in donne diverse, a loro modo sempre profonde, indimenticabili. Se per
Mario Monicelli diventa l’esilarante ragazza con la pistola, siciliana decisa a vendicare il suo onore violato, per
Alberto Sordi è l’imbranata soubrette Dea in “Polvere di Stelle” (1973), e la moglie fedifraga in “Amore mio aiutami” (1969) che in una grottesca scena cult, resa comica proprio dalle espressioni della Vitti, rincorre e prende a schiaffi su una spiaggia, con buona pace dei moderni “censori” che vorrebbero di certo mettere al rogo una simile sequenza. E come dimenticare le crisi isteriche, i pianti, i tormenti amorosi di Adelaide in “Dramma della gelosia (tutti i particolari in cronaca) (1970) di
Ettore Scola, che si divide tra Oreste (
Marcello Mastroianni) e Nello (
Giancarlo Giannini), chiedendo candidamente al suo terapeuta: “Ma di che natura è il mio male? Ho avuto un trauma? Sono sotto shock? È un disturbo neurovegetativo? O è perché sono mignotta?”.
Lei al pari dei colleghi “colonelli”
Gassmann, Manfredi, Sordi, Tognazzi e Mastroianni, ha saputo raccontare la società italiana con ironia e satira, ridendo dei vizi degli italiani e raccontando con comica amarezza i drammi più profondi come in “Teresa la ladra” (1973) di
Carlo Di Palma. Ma soprattutto ha saputo raccontare le donne senza filtri, senza ipocrisia, vere, appassionate, non più delle semplici bellone al fianco degli uomini. Molte certamente belle e provocanti come in “Ninì Tirabusciò, la donna che inventò la mossa” (1970), ma sempre padrone del loro destino, orgogliose e fragili, contraddittorie e forti.
Prima di lei nessuna mai è stata capace di una simile carica comica, di un fascino così inebriante, di fissare così tante scene e battute nell’immaginario collettivo che non si smetterebbe di elencarle, di mettere d’accordo il pubblico, provocando sorrisi e risate al solo sentire pronunciare il suo nome, di non trovare le parole giuste per definirla. Con
Monica Vitti oggi se ne va un pezzo della nostra storia più bella, come è successo con altri artisti prima di lei, ma rimane e rimarrà nel ricordo collettivo, in quello che ci ha regalato con il suo talento, nelle tante donne che è stata, nelle emozioni che ci ha regalato.
02/02/2022, 15:01
Caterina Sabato