Fare Cinema
banner430X45

THE PENITENT - Sbatti il mostro in prima pagina


Nel suo primo film statunitense Luca Barbareschi torna a collaborare con David Mamet. Presentato fuori concorso all’ultima Mostra di Venezia, il film è un atto di accusa contro la stampa a caccia di colpevoli e la giustizia sommaria della collettività.


THE PENITENT - Sbatti il mostro in prima pagina
Il coraggio delle idee e la forza di non uniformarsi al pensiero unico collettivo imposto dal politicamente corretto.

Può piacere o no dal punto di vista umano ed artistico ma è indubbio che il lavoro di Luca Barbareschi non passa di certo inosservato. Presentato fuori concorso all’ultima Mostra del cinema di Venezia, The Penitent- dal 30 maggio nelle sale in 200 copie distribuito da 01- ripropone il sodalizio con David Mamet (autore dello script) nel primo film statunitense di Barbareschi qui alla sua quarta regia cinematografica.

L’influenza della stampa, la strumentalizzazione della legge e il potere della religione ebraica sono i temi affrontati in un film scomodo e personale, nel quale Barbareschi si mette in gioco in prima persona come attore protagonista, regista e produttore.

Ispirato dal caso Tarasoff del 1969, il film esplora il deragliamento emotivo di uno psicanalista newyorkese chiamato a confrontarsi con la sua coscienza e la professione dopo l’omicidio di 8 persone commesso da un suo ex paziente appartenente alla comunità LGBTQ+.

Vittima di accanimento giudiziario e della macchina del fango messa in atto dopo un articolo nel quale l’omosessualità come adattamento diventa l’omosessualità come aberrazione, il protagonista di The penitent si rifiuta di testimoniare a favore del presunto omicida mettendo in atto una rivendicazione personale tra giuramento di Ippocrate e interessi personali. In una reazione a catena che mette in scena la crudeltà della natura umana e le scelte morali, i fatti e le opinioni, la dittatura del si o del no e la Cancel culture.

“Ho amato la versione teatrale di questo testo tanto quanto quella cinematografica che segue lo schema del thriller. Il mio amico Polanski, che ha visto il film, mi ha detto di aver fatto un piccolo capolavoro” dice soddisfatto Barbareschi. “Sono 45 anni che conosco Mamet” continua l’attore e regista “e lui ha operato un cambiamento radicale nell’evoluzione del linguaggio del dramma americano. Senza cedere mai al conformismo culturale che è diventato negli anni il nuovo nazismo intellettuale”.

“Maldicenze e deriva gravitazionale verso il basso sono il male assoluto della nostra epoca, l’umanità tende al peggio e la vera scommessa della vita è migliorarsi” continua. “Il potere della stampa è sacrale, i giornalisti dovrebbero essere i sacerdoti della comunicazione e invece oggi si fa disinformazione attraverso la paura. E’ stato tradito il patto coi lettori”.

Perché ha scelto di dirigere e interpretare allo stesso tempo il film? “Il ruolo del protagonista doveva farlo John Malkovich, eravamo d’accordo con gli agenti e aveva apprezzato il copione ma poi hanno preteso dei pagamenti istantanei e non se ne è più fatto nulla. Mamet e Polansky mi hanno detto che era una parte perfetta per me e allora mi sono fatto coraggio. Farlo è stato un incubo, imparare 160 pagine di copione a memoria in inglese e dare peso a un sottotesto complesso è stato davvero impegnativo ma ne sono orgoglioso”.

Poi rivela un aneddoto. “Con Mamet abbiamo rischiato di compromettere un’amicizia lunghissima. Ha minacciato di denunciarmi se non avessi tagliato la scena finale e cancellato due battute dal copione ma alla fine mi ha dato una lezione sulla differenza sostanziale tra tragedia e dramma”.

Non poteva mancare un accenno polemico sulla presunta battuta del Papa contro gli omosessuali. “Se l’avessi detta io ora non potrei uscire di casa, mi avrebbero linciato. Ma comunque la storia impone una riflessione sul tema della comunicazione. Qualcuno ha sentito il Papa pronunciarla? Perché farne un caso mondiale solo sulle voci?”.

Sul futuro, sociale e artistico, Barbareschi ha le idee chiare. “Bisogna ripartire dalla spiritualità e dall’etica morale, dalla tradizione giudaico-cristiana e dal pensiero razionale. E poi faccio un appello alla Meloni e a Giorgetti (Ministro dell’Economia ndr). Dopo che hanno chiuso 1000 teatri in 3 anni in Italia è ora di ridare lustro e onore a chi narra il Paese attraverso gli archetipi della bellezza. L’Infinito di Leopardi può curare a volte più e meglio di una medicina e allora investiamo sull’Arte e su chi ha la capacità di raccontarla come un mago delle emozioni”.

28/05/2024, 16:52

Claudio Fontanini