Sinossi *: Tre uomini hanno comportamenti violenti contro la compagna, moglie, fidanzata, ma della propria violenza si spaventano anche perché le donne che li hanno subiti non ci stanno più e chiedono un cambiamento. Tre storie quotidiane e insieme sconvolgenti – quelle di Luca, di Giorgio e di Paolo (nomi di fantasia) – raccontano età e vite molto diverse che si sono incrociate nel luogo in cui i tre arrivano per cercare di cambiare: il centro LDV (Liberiamoci dalla Violenza) di Modena, il primo servizio pubblico e gratuito in Italia a dare agli uomini la possibilità di un trattamento su base volontaria per combattere la violenza nelle relazioni d’amore. Lo sviluppo drammaturgico del film-documentario si focalizza sull’incalzare di emozioni ed eventi a partire dal momento in cui la vita normale dei tre uomini “scoppia” e la violenza viene vissuta e riconosciuta: la decisione di chiedere aiuto, la paura di essere giudicati dei mostri, la scoperta di poter ripensare ai propri comportamenti violenti come a una scelta volontaria e quindi evitabile, lo sforzo di ricostruire storie familiari spesso segnate da educazioni violente, la resistenza a mettersi in discussione e a mettere in discussione la propria idea di mascolinità, la difficoltà a riconoscere l’uguaglianza tra uomo e donna, i passi avanti, i momenti di arresto, in qualche caso le ricadute, le ripercussioni sulla vita in famiglia e fuori, i rapporti costruiti con altri uomini come loro attraverso gli incontri di gruppo del centro, tutto ciò con l’obiettivo di una vita di relazione diversa, migliore. Il percorso dei tre protagonisti, che per ragioni di privacy non possono essere mostrati, né chiamati con il loro vero nome, è raccontato attraverso le loro parole narrate da voci di attori e attraverso i paesaggi delle loro storie, quelli esterni della pianura padana come quelli interni, dell’anima. Entriamo nelle loro case e nella loro mente, scendiamo alle radici della loro aggressività e fragilità, smascheriamo insieme a loro quegli stereotipi in cui anche il maschile è ingabbiato e arriviamo fino a un ragazzino che assisteva impotente alle violenze di suo padre contro sua madre, o a un bambino che a scuola veniva chiamato l’“angelo senza ali” perché fin da piccolo, proprio in famiglia, conosceva la pratica quotidiana della violenza di fronte a ogni problema, a ogni discussione e ogni fastidio. C’è infine un altro luogo nel nostro film, una cucina onirica che con i suoi oggetti dislocati e sospesi, le sue luci ‘emotive’, diventa simbolo e rappresentazione dell’ambito in cui nasce la violenza nella relazione affettiva, quella degli uomini contro le proprie mogli o compagne: si tratta nel film di uno spazio espressivo ulteriore in cui i tre protagonisti mettono a confronto le motivazioni – personali e culturali – e le riflessioni sulle difficoltà con la moglie, la compagna, i figli. Si tratta di uno stesso spazio per tutti e tre: il confronto simboleggia anche un lavoro di gruppo in terapia, e anche se non è avvenuto realmente tra loro, si basa sui testi delle loro interviste. “L’amore c’entra”, insomma, come dice il titolo. Se la violenza è stata agita contro una moglie, una fidanzata, una compagna, se negli interni delle nostre case hanno continuato e continuano ad annidarsi i residui di un dominio patriarcale in declino, vuol dire che il problema è proprio lì: che c’è qualcosa che non funziona in quello che chiamiamo “amore”. Al cuore del film-documentario c’è quindi un’indagine sulla violenza di genere dal punto di vista dell’educazione sentimentale, sul modo in cui gli uomini sono educati ad amare, nella consapevolezza che la violenza non è una malattia, ma piuttosto un aspetto di una certa cultura. Come scrive Lea Melandri “non si tratta di cancellare l’amore ma di ripensarlo, liberarlo dalla violenza invisibile che si porta dietro dalla storia fin qui conosciuta”.
Quella dei nostri protagonisti resta una sfida aperta: una tensione al cambiamento, all’ascolto di se stessi e dell’altro che forse durerà il tempo della loro vita e che coinvolgerà anche le loro compagne. Ed è una sfida anche questo documentario e cioè che possa essere una testimonianza, un passo verso una cultura diversa delle relazioni tra uomo e donna.