"Il Figlio più Piccolo": l'Italia cialtrona raccontata da Pupi Avati
“
Il Figlio più Piccolo” è il nuovo film di
Pupi Avati, il prolifico autore bolognese che ha raggiunto nell’ultimo periodo una media di due film all’anno ed è al quarantesimo film in quarant’anni di carriera.
Il suo lungometraggio uscito venerdì nelle sale rappresenta a tratti un’anomalia nel percorso del regista; è infatti un film decisamente improntato sulla commedia, che si rivela infatti addirittura molto divertente (da non dimenticare a questo proposito soprattutto le performance delle “Limnos”, ma anche certe surreali situazioni in cui si ritrova Baldo, nonché le reazioni al limite dell’incredibile di Fiamma, capace di continuare ad amare anche quando sarebbe il caso di reagire nel modo esattamente contrario). Se è vero che il personaggio di Baldo nonché quello della madre del ragazzo sono le riproposizioni della figura dello “sfigato” che Avati ci ha già presentato in molti altri sui film, il Luciano Baietti che ha le fattezze di
Christian De Sica è un ruolo anomalo per il cineasta bolognese perché sembra uscire direttamente dalla commedia all’italiana degli anni sessanta tanto da ricordare in un certo modo il Bruno Corona vestito da Vittorio Gassman in “
Il Sorpasso” di Dino Risi.
Quello che di non positivo si può dire è che Avati gioca molto con la narrazione e non manca di portare i personaggi al limite delle loro caratterizzazioni arrivando quasi a rasentare il grottesco (i personaggi di Baldo e di Fiamma sembrano provenire appunto da tempi lontani tanto da apparire quasi incredibili più che pazzi), e così facendo il film è sempre più esilarante ma ne perde purtroppo a tratti in credibilità. D’altro canto però, proprio per questo motivo, “
Il Figlio più Piccolo” è molto godibile ed a tratti toccante. Ancora prima di parlare del finale infatti è impossibile per un amatore della settima arte non emozionarsi quando Baldo, che studia al Dams ed è appassionato di cinema (anche se di serie z), sale nella cabina di proiezione di un cinema per ricordare all’incolpevole proiezionista, di cui poi si innamora, che non è giusto tagliare i titoli di coda di un film perché si debbono leggere tutti i nomi di coloro che vi hanno collaborato, compresi gli elettricisti ed i macchinisti.
Per il resto, a livello narrativo,
Pupi Avati caratterizza bene tutti i personaggi protagonisti e cura bene l’intreccio; nonostante alcuni snodi siano superati un po’ leggermente infatti il film scorre veloce e piacevole, magari a volte prevedibile ma mai banale. Da sottolineare il personaggio di Bollino interpretato da
Luca Zingaretti che tocca corde recitative a lui stesso insolite senza per questo dare l’impressione di sentirsi a disagio; l’interpretazione di De Sica stesso è apprezzabile anche se in certi momenti monocorde (va ricordato che il regista bolognese aveva già diretto almeno un comico noto soprattutto per i “cinepanettoni” nel caso di Boldi in “Festival” nel 1996, per non parlare poi della sorprendente ed innovativa interpretazione di Ezio Greggio in “
Il Papà di Giovanna”, in concorso qualche anno fa al festival di Venezia).
Con “
Il Figlio più Piccolo”
Pupi Avati riesce senza nessun dubbio a raccontarci dell’Italia cialtrona, disonesta ed arraffona dei nostri giorni, quella nella quale per nessuno è più facile vivere, quella che tante persone ai margini per ingenuità e personalità possono finire per subire anche a prezzo di tragiche ed immeritate umiliazioni già note appunto nel panorama del cinema del regista bolognese. Avati ha poi il pregio di chiudere il film con poesia, lanciandoci il messaggio che, magicamente e forse appunto miracolosamente, alla fine essere buoni ed addirittura ingenui in un certo modo finisce quasi per premiare rendendoci inaspettatamente a portata di mano proprio la vita che desideravamo, o quasi. Certo il tempo finisce per spegnere lentamente i sogni di alcune persone meno fortunate senza che riescano ad accorgersene, ma in fondo la vita può essere bella anche così, perché in fondo ogni giorno è sempre la stessa imprevedibile, anche se magari scomoda ed inappagante, scommessa in cui la speranza è sempre l’ultima a svanire. E allora perché non continuare ad esistere? Bello, struggente e vero, per tante, e forse troppe, piccole esistenza di cui la possibile grandezza mai davvero verrà scovata, compresa e valorizzata.
23/02/2010, 13:06
Giovanni Galletta