Note di regia de "Il Capitale Umano"
All’origine di questo progetto c’è innanzitutto un vero colpo di fulmine per lo splendido romanzo di Stephen Amidon, Human capital, ambientato nel decennio scorso in un sobborgo residenziale del Connecticut. Quei personaggi, quella vicenda, ci sono apparsi subito come emblematici di questo nostro momento, anche in Italia: la ricchezza che non trae origine dal lavoro, ma dalle più spregiudicate speculazioni finanziarie, le speranze mal riposte di elevazione sociale, l’ansia procurata dal denaro, una generazione di figli costretti a pagare il prezzo più alto in termini di felicità, a causa della spasmodica ambizione dei loro genitori, o della loro frustrazione. La storia di Drew Hagel, l’immobiliarista smanioso che approfitta del presunto fidanzamento della figlia con il rampollo di un ricco broker per cercare di diventare socio di un aggressivo fondo d’investimento, ci è sembrata subito familiare, sembrava scritta apposta per raccontare qualcosa che ci riguarda. Così l’abbiamo trasformata in quella di Dino Ossola, immobiliarista in cattive acque, che ha iscritto la figlia Serena ad un prestigioso liceo privato che a malapena può permettersi. E abbiamo immerso quel mosaico di storie e di personaggi in una Brianza di oggi, a cavallo tra la ricchezza e la disperazione. Abbiamo scelto di strutturare la vicenda come un vero e proprio thriller, con un morto fin dalle prime pagine: un ciclista investito in una notte gelida alla vigilia delle feste di Natale. E tutto il copione, nel seguire i passi dei diversi personaggi, ricostruisce pezzo dopo pezzo quel che è successo quella notte. E racconta come quell’episodio potrebbe cambiare le vite di tutti i personaggi. Ma soprattutto si narra di come il denaro, l’ansia di moltiplicarlo, l’angoscia di perderlo, determini la vita affettiva, il destino, il valore delle persone.
Paolo Virzì