Note di regia del film TV "Pietro Mennea - La Freccia del Sud"
È da molti anni che pensavo a questo film, da quando, nel lontano 2000 insieme a Simona, ho conosciuto Pietro Mennea. Un incontro casuale dal quale è nata una collaborazione. Lui aveva una grande voglia di raccontarsi e io tanta voglia di mettere in scena i suoi ricordi, la sua vita, il percorso che lo aveva portato ad essere un grande campione, un parlamentare europeo, un marito esemplare, un plurilaureato. Quello che mi ha colpito profondamente di lui, che allora aveva quasi 50 anni, era la sua instancabilità, unita a un doverismo quasi ossessivo, un metodo che applicava a tutto grazie al quale primeggiava su qualsiasi terreno si avventurasse. Con Pietro, sua moglie Manuela e Simona, abbiamo in quei giorni ripercorso tutta la sua vita. Quindici anni dopo, la Rai e Luca Barbareschi, quando ormai Pietro non c’era più, mi hanno chiesto di raccontare la sua storia. Ho colto quest’opportunità con gioia e, questa volta, sempre insieme a Simona e Fabrizio Bettelli, ci siamo rimessi al lavoro per raccontare la storia di un ragazzo del sud, nato in una cittadina senza pista, con le scarpe rotte, le cui misure antropometriche non corrispondono al fisico di un velocista, ma che ha la forza di chi non ha bisogno di nient’altro che se stesso per salire sul podio più alto, quello della volontà. Un ragazzo che, correndo, ha attraversato la Storia. Dalla ricostruzione del dopoguerra fino alla contestazione giovanile del 1968, che diventa un anno fatidico per lui, quando vede il velocista nero Tommie Smith infrangere il record mondiale sui 200 metri a Mexico City e diventa il suo mito, e Pietro corre sempre più forte fino alla sua prima Olimpiade a Monaco nel 1972, dove la gioia per il bronzo si spegne nel dolore per la strage degli atleti israeliani. Poi il 1979 quando infrange con il suo 19:72 il record di Tommie per arrivare a Mosca nel 1980 quando le Olimpiadi sono funestate dallo sdegno per l’invasione Sovietica in Afghanistan e dove, finalmente, a 28 anni compiuti, conquista l’agognato oro Olimpico. La mia più grande preoccupazione era riuscire a restituire la vera natura di Pietro, quella ritrosia che spesso veniva confusa con una certa ostilità, ma che in realtà era solo riservatezza. Volevo soprattutto raccontare il rapporto più importante della sua vita, quello con Carlo Vittori, con il quale ha ottenuto i grandi risultati sportivi. Michele Riondino è stato l’interprete esemplare. Dopo una preparazione atletica durata tre mesi, è stato un compagno di viaggio ideale, concentrato e innamorato del suo personaggio, farcito dei tanti testi che ha scritto Pietro, dei filmati, delle testimonianze. Non solo ha saputo restituire la fatica e le gioie, ma anche il conflitto, l’affetto e l’indispensabilità reciproca con Carlo Vittori interpretato con autorità, sapienza e sorniona ironia da Luca Barbareschi. Poi le donne intorno a lui, la Madre importantissima, il cui sguardo ha accompagnato Pietro su tutti i campi del mondo, una Savino ispirata, calata nel suo dialetto pugliese, capace di momenti di grande tenerezza, ma soprattutto di senso critico e disciplina. Accompagnata dal simpaticissimo e tenero padre che ha sempre creduto in Pietro, interpretato dal bravissimo Nicola Rignanese. Poi naturalmente Manuela, la donna della sua vita, a cui ci siamo ispirati per raccontare la Manuela del nostro Film, interpretata con sensibilità da Elena Radonicich. Una donna che ha saputo sempre stare vicino al grande campione, sopportarne le assenze e confortarlo nel momento della sconfitta. Senza dimenticare la passione giovanile, Carlotta, incarnata da una spumeggiante Alice Bellagamba e il versatile Gianmarco Tognazzi, che interpreta il Dottor Masi, funzionario della FIDAL con la quale non sempre Pietro ha avuto rapporti distesi. Se questo film c’è, lo devo a tutte le persone che con amore e la stessa nostra passione, hanno partecipato a questa avventura faticosissima ma straordinaria, perché, come disse Pietro, “La fatica non è mai sprecata. Soffri e sogna!”
Ricky Tognazzi