STATO DI EBBREZZA - Il successo, il trauma, l'alcol
Un buon soggetto che potrebbe ricordare "
Lenny" con
Dustin Hoffman oppure "
Man on the Moon" con
Jim Carrey, storie insomma di attori “one man show”, realmente esistiti, accomunati da una vita complicata e da un carattere difficile. Anche
Maria Rossi è un’attrice capace di intrattenere da sola il pubblico di una sala con i suoi monologhi comici. E anche lei si è andata a mettere in un angolo dell’esistenza vittima dell’alcol.
Maria Rossi fa ridere e il film lo dimostra all’apertura con uno dei suoi sketch dal vivo. Poi il ruolo viene trasferito su un’interprete che ce la fa vedere nel suo momento fortunato, tra apparizioni in tv e serate in teatro, prima che una disgrazia familiare la gettasse nelle braccia della bottiglia. Quella che non fa assolutamente ridere è proprio lei,
Francesca Inaudi, attrice orientata al dramma se non alla tragedia che, non adatta ai tempi e dei toni comici, costringe il film, dopo l’avvio fatto dalla vera Maria, a privarci di momenti importanti di spettacolo. Quei momenti “alti” di successo e soddisfazioni indispensabili per dare risalto ai “bassi” che le conseguenze dell’alcol le causano.
Francesca Inaudi ride sempre: alle sue battute, a quelle degli altri, alle situazioni e agli eventi divertenti che spesso le capitano durante la permanenza nella casa di recupero dove è finita per guida in stato di ebbrezza. Ride per sottolineare, credendo che la sua risata sia di per sé motivo di risata, non sapendo (o non essendo in grado di riportare sullo schermo) che molto di rado un comico ride. In genere è chiuso in se stesso, serio e lapidario, fucina di frasi e sguardi fulminanti in grado di far crollare la platea. Sia nella vita sia sul palco sia davanti alla macchina da presa, da Buster Keaton a Totò, da Chaplin a Massimo Troisi, chi li ha visti mai ridere?
Questa ”allergia” alla comicità fa virare tutto il film verso il dramma, che indubbiamente c’è, ma la seriosità del contesto e di tutti i personaggi finisce per auto riferirli (ognuno parla di sé come di una tragedia ambulante) e portarli fuori da un contesto reale e vitale. Gli altri internati, ma anche infermieri e dottoressa, fanno fatica a integrarsi nella storia rimanendo attori di una messa in scena. E qui la sceneggiatura e la regia avrebbero potuto dare una svolta con sfumature da cogliere e riportare sullo schermo per creare un quadro coinvolgente e credibile, all'altezza della realizzazione generale di buon livello.
Unico che mostra qualche momento di verità è
Andrea Roncato, il padre di Maria, che passa dalla sofferenza per la perdita della moglie a quella per le disgrazie della figlia con modestia e semplicità.
23/05/2018, 17:01
Stefano Amadio