LOCARNO 72 - MARADONA di Asaf Kapadia
Capace di accogliere fino a 8.000 spettatori, Piazza Grande è il cuore e la vetrina del Festival e riunisce ogni sera i diversi pubblici di Locarno davanti a uno degli schermi all’aperto più grandi d’Europa.
La sezione ha due premi: il Prix du public UBS del valore di 30'000 CHF, assegnato dal pubblico, e il Variety Piazza Grande Award, attribuito da critici della rivista presenti a Locarno.
Per il 2019 il suo cartellone è stato «una vera e propria sfida» anche se non completamente riuscita con generi diversi: dal thriller psicologico alla commedia romantica, fino al nuovo film di Quentin Tarantino, ‘Once Upon a Time... in Hollywood’ e naturalmente
DIEGO MARADONA accolto con calore ed entusiasmo come uno dei film più attesi della stagione per le sue eccellenti caratteristiche documentaristiche e l’introspezione umana di uno dei più controversi campioni del calcio.
Il regista britannico Asif Kapadia trasforma la passione del passato e l'ossessione. Non racconta solo una personalità, ma fa una meditazione immersiva su di essa. Kapadia si immerge nelle materie prime del giornalismo: filmati di notizie, home video e altri media "oggettivi". Non è che non modella il materiale. I suoi film sono brillantemente montati.
Ma evitando molti degli strumenti standard del cinema documentario, Kapadia crea una comunione insolitamente diretta tra il pubblico e il soggetto, facendo immersioni profonde esistenziali nella vita di persone come la cantante Amy Winehouse, il campione di corse automobilistiche Ayrton Senna e, nel suo nuovo film, la leggenda del calcio argentino degli anni '80, “Diego Maradona”.
Uno dei degli aspetti dei film Kapadia è che i personaggi che prende in esame ne sono unici,che non esiste nessuno al mondo come nessuna di queste persone. Ognuno ha rotto lo stampo e, i film di Kapadia sono ritratti ossessivi. "Diego Maradona" non è un film a quel livello. È un profilo inebriante, avvincente e indulgente di un atleta moderno in tutta la sua gloria e contraddizione, ma è anche un film che ti lascia con più domande di quanto dovrebbe. Kapadia lo ha ricavato da 500 ore di filmati inediti tratti dall'archivio personale di Maradona, e il suo metodo di adattamento a quel filmato, intrecciandolo in un epico arazzo video, conferisce al documentario una rara purezza e immediatezza. In Diego Maradona ", Kapadia torna alla modalità che ha aperto la strada a "Senna" (2010), con argomenti di intervista che vengono ascoltati nella colonna sonora ma rimangono invisibili, in modo che nulla interrompa il flusso delle immagini. Kapadia vuole portarti più vicino ai suoi soggetti rispetto ad altri documentari, e parte della sua tecnica è (ironia della sorte) di crogiolarsi sulla superficie di tutto ciò che ci sta mostrando.
La storia che svela è allettante nella sua trama di trionfo e perdita, estasi e ambiguità, e ci tiene. Ma il trattamento avrebbe potuto usare più forma. Nel 1986 il primo scudetto al Napoli fu merito di Maradona “Il Pibe de oro” mito straveduto da una Napoli, una città impazzita per lui. La maglia n.10 quella di Armando Diego Maradona non fu mai più indossata da altri calciatori. Questa immagine di uno dei più grandi calciatori al mondo fu idolatrato a Napoli e in Svizzera vista dagli emigrati, in gran parte del Sud, come emblema di valori che loro appartenevano quasi in contrasto con quelli della nazione che li ospitava. Fu quasi una rivalsa metaforica all’efficienza svizzera che contrapponeva il mito del pallone.
Questa connotazione particolare di esaltazione esisteva già nel film in “Pane e cioccolato” (1973) di Franco Brusati e interpretato da Nino Manfredi, Giovanni Garofoli, detto Nino che, scioccato della sua esistenza degradata, decide di tingersi i capelli di biondo e di cercare di "integrarsi" con gli Svizzeri. In un bar, tuttavia, assiste in televisione a una partita dell'Italia, continuando seppur alquanto goffamente, a recitare la parte del biondo elvetico, fino a quando ad una rete della squadra italiana, incapace di trattenere la gioia irrefrenabile, esplode in un urlo liberatorio in quanto gli sembrava aver trovato un argomento di rivalsa nel suo essere emigrante.
21/08/2019, 12:51
Augusto Orsi