Note di regia di "Cuntami"
Ricordo quando da bambina mio padre mi portava a nuoto alla grotta di Polifemo. E mi raccontava di Ulisse, che, tanti anni fa, aveva attraversato come noi questi mari.
Con queste mie parole si apre la prima sequenza del mio documentario, sotto la superficie del mare, in un’isola magica non precisata, dove all’improvviso, come rievocati dai miei ricordi di bambina, mi appaiono davanti, dietro il canto delle sirene, le figure di Ulisse, Polifemo, Omero, Orlando, Angelica, Don Chisciotte e Sancho Panza. Sono apparizioni della mia fantasia, distorte e ingrandite dalla focale corta del grandangolo, salgono lentamente dal basso, come personaggi in cerca di autore, tra i fasci di luce che li illuminano dall’alto, per rinascere in un nuovo viaggio, a bordo di un magico furgone rosso guidato dal primo e ultimo cuntista e puparo vivente, Mimmo Cuticchio. Il furgone è la macchina del cinema, ma anche la macchina del tempo, con i pupi appesi sul retro scoperchiato e Don Chisciotte sul tettino, la lancia protesa in avanti, in cerca dei nuovi cuntisti che possano fargli, e farci, rivivere il sogno, in giro per la Sicilia del grande mito e della tragedia classica. Io sono lo sguardo del film, la sua voce narrante, perché questo film è prima di tutto un mio cunto di gioia e di dolore, dedicato alla mia infanzia e alla mia memoria. Un viaggio di formazione dalla vita alla maturità, che ha inizio nel liquido amniotico del ventre materno, e finisce sotto le viscere della terra, nelle profondità del mare, dove i miti del mio passato tornano a riposare in mezzo alle ceneri di mio padre e mia madre. Il Paradiso è un’altra storia, canta Lello Analfino nella canzone originale che chiude i titoli del film. Il paradiso sta nella forza della memoria, e del racconto, che passa di generazione in generazione, e che ci protegge dalle viscere della terra ricordandoci che il c’era una volta ci sarà ancora. D’altronde Dio creò l’uomo perché amava sentir raccontare delle storie, recita il detto hassidico che ho posto in epigrafe del film.
Non vi sono interviste tradizionalmente intese. Ciascun protagonista rivive in modo intimo e sperimentale il mito, mettendolo in scena en plain air nei luoghi del proprio vissuto personale e professionale. La fotografia, firmata da Clarissa Cappellani, è surreale e antinaturalistica, con la dominante del rosso lungo il viaggio, ieri la vela di Fughe e Approdi, oggi il furgone carico di pupi, per accendersi di volta in volta nei colori dei luoghi che hanno dato i natali ai nostri protagonisti e dove sono ambientate le nostre storie: il marrone di Partinico, il rosa delle Saline di Marsala, il bianco delle cave dell’entroterra siciliano, a contrasto con il nero dell’Etna, sconvolta dal terremoto. L’utilizzo di foto e materiale di repertorio si mescola alla messa in scena reale dei cuntisti, in un montaggio ritmico e mai lineare, firmato da Benni Atria, che dà al nostro viaggio un andamento sospeso tra passato, presente e futuro.
Giovanna Taviani