Recensioni di :
- NON SONO MAI TORNATA INDIETRO - Storia di riscatto e autodeterminazione


Sinossi *:
Questa storia nasce molto tempo fa, quando Iolanda è fuggita dalla casa dei miei nonni in cerca di una vita migliore. Fino ad allora, per gli adulti della mia famiglia, lei era sempre stata la donna di servizio, mentre per me era la mia seconda mamma.
Dopo 15 anni di lontananza, sono andata in Canada a riabbracciarla. Da quel momento abbiamo riallacciato i rapporti e le sue parole, hanno riportato alla luce una storia che non avevo mai ascoltato prima.
Un racconto collettivo di voci femminili destinate tutte a un’esistenza di subalternità e obbedienza. Voci che riecheggiano ancora oggi tra i vicoli stretti e che si scrutano da dietro le finestre rimanendo impigliate tra obblighi e insolite forme di amore.
Le distanze che volevo colmare attraverso questo viaggio insieme, hanno fatto emergere in Iolanda una nuova consapevolezza, una prospettiva inattesa di una nuova libertà.

NOTIZIE 'Non Sono Mai Tornata Indietro'



Note:
BIO IOLANDA
Iolanda è stata la mia tata fino al 1992. Quando ha deciso di andare via, io avevo 12 anni mentre lei 44 e, anche se passavamo ogni momento insieme, io non sapevo nulla di lei. Finché è stata in Calabria, Iolanda non mi ha mai parlato della sua storia, né della sua infanzia, della sua famiglia o del suo paese. È stato solo dopo molto tempo che ha iniziato ad aprirsi e, forse, è stato solo grazie a questo documentario che ho conosciuto gli aspetti più profondi della sua vita e della sua personalità.
Iolanda è nata a San Nicola da Crissa, un piccolo villaggio dell’entroterra calabrese abitato all’epoca da una ristretta comunità di coltivatori diretti e braccianti al servizio dei latifondisti.
Da bambina ha vissuto con sua nonna - una levatrice “tuttofare” e punto di riferimento per i compaesani - fino all’età di 9 anni. La madre, una donna instabile e violenta, viveva di espedienti ed era per lo più assente. Quando rientrava a San Nicola era quasi sempre incinta e si fermava giusto il tempo di partorire, affidare il neonato alla madre e a Iolanda e ripartire. Nel 1957 uno degli uomini a cui la madre si era legata aveva tentato di avvicinare anche Iolanda, allora solo una bambina.
La nonna, quindi, per allontanarla da quella situazione, si consultò con il parroco del paese e si mise in contatto con mio nonno, che in quel periodo cercava una ragazza per le faccende domestiche. Il parroco organizzò l’incontro tra loro e, da quel momento in poi, Iolanda iniziò a vivere nella casa dei miei nonni.
Lì si occupava di tutto: dalla spesa alle pulizie, dalle conserve alla macellazione dei polli. Iolanda doveva svolgere tutti i compiti, persino quello di accudire mio nonno dopo l’insorgere della malattia.
Tutti nella famiglia di mio padre chiamavano Iolanda la “colonnetta”, per rimarcare come, ai loro occhi, lei fosse la colonna portante della casa.
Eppure Iolanda non aveva alcun potere decisionale né voce in capitolo su nulla.
La mentalità dell’epoca già prevedeva per tutte le donne un ruolo di subalternità rispetto agli uomini, ma dalle ragazze come Iolanda, le famiglie putative si aspettavano anche una forma di dedizione e gratitudine, oltre all’obbedienza.
Fino alla morte di mia nonna, anche per Iolanda è stato così.
La sua scomparsa ha contribuito a rompere definitivamente l’argine della fedeltà nei confronti della mia famiglia. Per 35 anni Iolanda aveva conciliato ribellione e sottomissione, rabbia e dedizione.
Quando nel 1992, a 44 anni, è finalmente riuscita a riallacciare in modo rocambolesco i rapporti col padre, ha capito che quello sarebbe stato finalmente il bivio che aspettava da tutta la vita.
Nel giro di pochi mesi Iolanda riesce a trovare un marito e a farsi inviare un biglietto per il Canada. L’addio è doloroso ma, dopo aver sopito la forte nostalgia per i “i suoi bambini”- come chiamava all’epoca me e i miei fratelli –, Iolanda si crea nel “nuovo mondo” una propria vita, fatta di lavoro, famiglia e poche amicizie.
Per sedici anni vive serenamente, appagata sia dal punto di vista sentimentale quanto professionale. Nel 2007 però il marito si ammala e, dopo un rapidissimo avanzamento della malattia, muore. Da quel momento Iolanda si trova totalmente sola, affidata ad alcuni amici italiani che di lì a poco approfitteranno di lei, rubandole i pochi soldi che Giovanni le aveva lasciato.
Iolanda scappa un’altra volta e si rifugia in un piccolo appartamento tutto per sé nella periferia di Toronto. Supera due anni di depressione profondissima e finalmente assapora per la prima volta la libertà.
La sua vitalità rinasce grazie al suo carattere combattivo che fa sì che, se qualcosa la disorienta o la incuriosisce, Iolanda la segua e ci si lasci trasportare.
È così che ha saputo cogliere le opportunità ed evitare di tornare indietro. Come quando ha preso da sola il primo volo diretto a Miami per andare a conoscere il suo attuale compagno. Domenico infatti costituisce per lei l’ennesimo passo in avanti. Con lui ha ritrovato la serenità e ha potuto vivere forse quella forma di adolescenza e di spensieratezza che non aveva potuto vivere da ragazza.
Iolanda non ha rimpianti. Forse grandi ferite, ma non rimpianti. L’unica cosa di cui si pente è di non aver imparato a leggere e a scrivere. L’analfabetismo è probabilmente l’unico vero ostacolo che le impedisce di essere libera fino in fondo.
È per questo motivo che Domenico - che si sente responsabile anche per il suo futuro - la sta convincendo a tornare in Calabria per trascorrere la sua vecchiaia vicino a noi, ovvero a quella famiglia da cui è fuggita ma che continua a riconoscere come propria pur tra mille contraddizioni.
Questo per lei è l’ennesimo bivio della sua vita e tra alti e bassi, rassegnazione e ulteriori spinte verso l’indipendenza, Iolanda sta ancora decidendo: accettare il consiglio di Domenico e tornare indietro per la prima volta nella sua vita, oppure proseguire ancora lungo la sua strada?

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