Daniele Vicari: "Il mio Diaz tra realtà e metafora"
Come è nata l'idea del film?
Domenico Procacci: L'idea è nata subito dopo la sentenza di primo grado del processo Diaz, con le condanne ai poliziotti e le assoluzioni ai più alti in grado, anche per la fabbricazione di prove false, ma confermando sia queste sia le violenze nella caserma.
Quella sentenza è stata accolta con urla "Vergogna! Vergogna!".
L'appello ha ribaltato il primo grado, e questo ci ha dato spazio maggiore nella messa in scena: quando abbiamo visto cos'era successo abbiamo temuto che la vicenda venisse dimenticata troppo in fretta, mentre secondo noi andava ricordata.
Non c'era il rischio di puntare sui fatti e impoverire il linguaggio?
Daniele Vicari: Senza dubbio. Il rischio maggiore quando si fa un film da un fatto realmente accaduto è proprio questo: per mia fortuna ho coltivato la passione e il desiderio di fare documentari, per cui ho pensato fin da subito di schivare questi rischi con scelte narrative ben precise, in modo che la narrazione non fosse schiacciata da ricostruzioni storiche, politiche e sociologiche di vario genere.
Sono problemi che mi sono posto anche nei miei film precedenti. Ettore Scola al Bif&st parlando del mio film ha detto che ho trovato l'equilibrio tra realtà e metafora, ed è stato proprio questo il mio tentativo.
In alcune scene abbiamo fatto delle modifiche rispetto a quanto veramente accaduto, ho voluto scarnificare al massimo la storia limitandomi all'essenziale e all'indiscutibile, come il comportamente violento e ripetuto di uomini in divisa, su cui abbiamo testimonianze incrociate.
Se io ti racconto qualcosa senza nessun movimento drammaturgico dall'inizio alla fine, tu spettatore puoi anche rifiutare quanto vedi, si rischia l'incredulità: lo spettatore con questa scarnificazione si può identificare meglio e io regista corro meno il rischio di perdermi. Tutto ciò per raccontare la complessità di questo avvenimento, usando tanti punti di vista.
L'obiettivo era non tradire mai il senso del film, che per me è il tema universale dei diritti della persona, che a Genova sono stati sospesi.
Avete avuto problemi a fare questo film?
Domenico Procacci: Non abbiamo avuto molti problemi durante la lavorazione del film: prima di iniziare ho messo a disposizione il copione al capo della Polizia Manganelli.
Lo ritenevo doveroso, anche perché avevamo chiesto loro la possibilità di usare i loro mezzi, le loro armi, e non volevo che si facessero le cose di nascosto. Cercavo un'apertura che mi sembrava possibile dopo alcune dichiarazioni dello stesso Manganelli dopo quella sentenza: non abbiamo mai avuto risposta, e quindi abbiamo fatto tutto da noi.
Non c'è stata collaborazione quindi, ma ostacoli nessuno. Anche perché abbiamo girato tutto o quasi il film a Bucarest, e ricostruito là delle parti di Genova.
Quando siamo arrivati nel capoluogo ligure per girare le ultime scene ci sono stati sequestrati tutti i mezzi, ma dopo alcune verifiche ci hanno ridato tutto: nessun particolare problema, per fortuna.
13/04/2012, 09:00
Carlo Griseri