PAURA - In 3D a metà tra incubo e favola
Dopo "
L'Arrivo di Wang", i
Manetti Bros., tornano in sala con il nuovo film,
Paura in 3D. Ma se nel primo, malgrado l'impronta teatrale, c'era un'idea originale, uno spunto d'autore un'invenzione di base, questo nuovo lavoro, che sarà in sala il 15, sembra un'occasione sprecata. Le disponibilità sembravano esserci tutte; una distribuzione come
Medusa, la collaborazione di
Sky Cinema e Mediaset Premium, la tecnologia in tre dimensioni, un maestro degli effetti speciali come
Sergio Stivaletti, un genere commerciale come l'horror che garantisce un rientro economico sicuro e dunque una discreta sicurezza produttiva. E invece "
Paura" ricorda soltanto da lontano quei film a cui si ispira, senza troppe facili citazioni certo, ma con una costante sensazione di già visto che non è il miglior ingrediente per un film in cui la sorpresa dovrebbe essere ingrediente principale.
"Non siamo citazionisti" ha dichiarato
Marco Manetti "e neanche ci piace. Il nostro unico riferimento nel girare è stato
Hitchcock, ma è ovvio che in ogni inquadratura è possibile rivedere la mano di qualche maestro del genere; ma del tutto involontariamente. Tranne che nella parte iniziale ispirata a "
Suspiria" del nostro maestro
Dario Argento, il resto è casuale". Memoria collettiva, dunque. Ma in un film horror, specie se girato da due
giovani autori, sarebbe meglio proporre qualcosa di mai visto piuttosto che un susseguirsi di scene di film che hanno fatto, non la storia del cinema, ma negli ultimi 35 anni, almeno i palinsesti delle tv private dalle 23 in poi, e la ricchezza degli editori di home video.
Il film parte, prima dei bei titoli animati, con un'incomprensibile e slegato prologo con tanto di brutale omicidio e voce narrante che, all'imperfetto, fa la cronaca didascalica delle immagini. Una voce narrante che si dimentica facilmente e di sicuro e non capiremo mai a chi appartiene. Si prosegue con dei ragazzi di oggi, tra le cartoline romane di borgata (Woody Allen a Tor Bella Monaca), per arrivare all'immancabile, isolata "villa" nella quale tutta la storia prende corpo e anima. Tre amici si imbucano per passare un week end a sbafo, ma nella casa, che pensavano deserta, trovano un'ospite inatteso.
I
Manetti hanno avuto ispirazione dal personaggio di
Natascha Kampusch, la ragazza austriaca tenuta in sequestro da un maniaco per 10 anni in una cantina e... (ma non sveliamo troppo).
Il film abbonda di (non chiamiamoli errori ma) scorciatoie di genere per aumentare la suspance e i colpi di scena; soggettive misteriose ingiustificabili, banali dimenticanze e volute stupidità dei personaggi, forbici misteriose in mano alla ragazza in catene, con le quali potrebbe tranquillamente colpire il suo carceriere e scappare, invece di infilarle in una fessura del muro per colpire il ragazzo che l'ha trovata. Tutte trovate per farci saltare sulla sedia o per sottolineare un'angoscia che stenta a prendere corpo.
Ed è proprio lì che Paura ha le sue lacune più grandi: le lunghe sospensioni della storia, sostenute dalla colonna sonora generosa ma troppo presente, non creano suspance mentre, anche le sequenze più inaspettate e cruente, non riescono a tener fede al titolo. La "paura" rimane soltanto lì.
13/06/2012, 16:56
Stefano Amadio