Note di regia di "Storia della Mia Famiglia"
Storia della mia famiglia è un racconto che ho sentito appartenermi fin dalla prima volta che ne ho letto il soggetto. Filippo Gravino, con il quale ho scritto tre dei miei precedenti film, conosceva bene i temi ai quali sono legato. Nelle storie che ho messo in scena in questi anni, il rapporto tra genitori e figli è sempre stato, o quasi, centrale. Questa serie però ha un pregio particolare, non si limita a raccontarci la difficoltà e la complessità dei rapporti genitoriali, ma allarga il suo sguardo su un mondo molto più ampio, che è quello di una famiglia allargata, un gruppo di persone che si stringe attorno a due bambini per preservarne la serenità e dare loro un futuro di speranza dopo la morte del padre e durante un periodo di crisi della madre. Questo gruppo è in realtà una tribù, un insieme di esseri umani che non sono necessariamente legati da rapporti di sangue, ma che sono uniti per un fine e un bene più grandi dei semplici, freddi dati familiari. Storia della mia famiglia si presentava quindi come un racconto corale, una storia variegata dove avevo l’occasione di scavare dentro i cuori e i pensieri di personaggi molto diversi tra loro, uniti però da una caratteristica comune che non è dato incontrare spesso sia nel mondo cinematografico sia in quello seriale: una strabordante umanità, un cuore vivo e pulsante, che tra mille problemi e infiniti inciampi riesce a colmare i difetti e le imperfezioni tipiche di ogni essere umano.
La storia si sviluppa su due binari ben distinti. Il primo è il passato, dove si racconta, insieme alla morte di Fausto, la nascita e la fine di una grande storia d’amore, quella tra Sarah e lo stesso Fausto. Il secondo riguarda il presente, un tempo in cui Lucia e Valerio, rispettivamente madre e fratello del nostro protagonista, dovranno prendersi cura dei suoi figli insieme a Maria e Demetrio, i migliori amici di Fausto. Il tono del racconto è quello del dramedy, ma in questa vicenda tipicamente familiare commedia e dolore si mescolano senza soluzione di continuità. È la vita, bellezza: la vita intesa come un susseguirsi di emozioni, di errori e di slanci vitali che raccontano il mistero delle nostre azioni, che sono poi quelle dei nostri personaggi, esseri umani imperfetti che navigano controvento alla ricerca di una stabilità che è più un mezzo che un fine. Proprio per questo, la felicità della scrittura di questa serie si riconosce nella complessità, nell’apparente schizofrenia dei nostri personaggi, che non giudicano mai e mai vengono giudicati dalla macchina da presa. È un lavoro difficile e stimolante, quello di raccontare esseri umani così complicati, a tratti goffi, sempre pieni di vita. L’unico modo che conosco per affrontare questa sfida, nel mio lavoro, è quello di circondarmi di interpreti non solo bravi, ma ricchi di umanità e sempre attenti a scavare dentro le pieghe caratteriali dei nostri personaggi. Il lavoro di casting è stato quello più complicato, ma allo stesso tempo quello che mi ha dato più soddisfazioni. Abbiamo raggiunto presto tutti una complicità e una comune visione dei personaggi che ci ha permesso di andare a volte anche oltre la pagina scritta. Lavorare con attrici e attori così sensibili ha portato la serie a dei vertici di bellezza che prima delle riprese potevo solo intravedere. Il resto lo troverete sullo schermo, dove è giusto che tutto quello che ho scritto in queste righe trovi una sua voce, una melodia fatta di vita, risate e commozione.
Claudio Cupellini17/02/2025, 15:29