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KOBARID - Un racconto di guerra "alternativo"Sinossi *: Kobarid racconta la guerra, la disfatta, il fallimento delle politiche di potenza, il massacro dei soldati e dei civili e lo fa dando voce alle montagne, ai boschi, alle trincee, alla moltitudine di anonimi soldati che nella lotta per la sopravvivenza non perdono la loro umanità, anzi riscoprono, nella terra di nessuno tra la vita e la morte, il senso di fratellanza e la solidarietà che il delirio nazionalista e bellicista aveva spazzato via. Kobarid è la voce dei senza nome e dei senza voce, dei soldati semplici gettati di fronte alla quotidianità della morte. Kobarid è un inno alla vita, corale, tragico, poetico, in tempo di guerra. La voce di Kobarid è la voce delle tante guerre ancora in corso, è il fiume carsico che interrandosi resiste alla desertificazione della guerra, alla sua tabula rasa. La voce di Kobarid ci racconta che ogni nuovo inizio germoglia nella disfatta.
Note:
Il film evoca la battaglia attraverso 45 quadri corrispondenti a 45 frammenti di diari di soldati italiani e austro-ungarici.
100 minuti a 100 anni dai fatti. L’evocazione storica (basata sui veri diari dei soldati sia austriaci che italiani) è messa in relazione con la cittadina così come si presenta oggi, esattamente un secolo dopo.
Il film crea un ambiente in cui non si presentano gli eventi al passato remoto, ma si coniugano in un indefinito passato “prossimo” (i diari sonori), che dialoga con il presente (i quadri in piano sequenza).
I 45 racconti sono fedeli ricostruzioni dei fatti. La dimensione orale viene messa alla prova, in dialogo con il normale e lento fluire quotidiano del tempo, dove lo spettatore ha modo di sistemare il ricordo della battaglia in un “quadro” odierno dei luoghi dove la stessa avvenne. Il film mette in evidenza, per contrasto o per metonimia, la Storia come memoria collettiva in stretta relazione con la banalità del quotidiano, privato dei tradizionali e prevedibili significanti che l’iconografia di guerra usa veicolare.
Per questi motivi non ho voluto ricordare la tragica battaglia di Caporetto con gli strumenti classici del cinema e del documentario (ricostruzioni, interviste a storici e repertorio), ma cercare di creare un corto circuito temporale e portare lo spettatore dentro la battaglia come se il ricordo fosse recente e, soprattutto, come se la voce narrante (che interpreta una selezione frammentaria di diari di veri soldati) potesse ravvivare il ricordo attraverso la presenza e vicinanza della voce (di Alessio Boni).
La selezione dei diari è stata fatta tra quelli di soldati illustri, vedi Lussu, Gadda, Malaparte, ma anche di soldati non conosciuti e perfino in alcuni casi anonimi. E tra essi non solo soldati italiani, ma anche appartenenti al “nemico” austro-ungarico. Perché il film non è una visione di parte su un fatto storico e nemmeno ne tenta un’interpretazione, dà al contrario semplicemente voce agli uomini, portatori insieme della tragedia e dell’umanità gaudente che di confini non sa che farsene. In questo senso, indirettamente, il film è un grido contro ogni guerra, rappresentata nella sua assurdità da qualsiasi lato la si voglia affrontare.
Nei diari si trovano momenti quotidiani, senza enfasi né retorica. Prevalgono semplicità in taluni casi, ironia e disperazione in altri.
Il film tenta un avvicinamento, attraverso un artificio narrativo, dalla realtà alla finzione, dove il gioco è lo spiazzamento che il registro espressivo crea rispetto alla verità ontologica delle immagini. Per contro, l’altro elemento fondante è la rinuncia ad uno dei topoi narrativi classici del cinema di guerra, ovvero l’archivio o le immagini ricostruite. Il ricordo dei gesti e delle battaglie è totalmente sottratto alla più classica rappresentazione visiva o sonora così come comunemente conosciuta. L’intenzione è di permettere allo spettatore di attingere proprio a quel bagaglio di ricordi e di immagini che ormai sono memoria storica collettiva, e di farlo indirettamente, ovvero rimettendolo alla partecipazione dello spettatore che di quelle immagini farà (o meno) ricorso attraverso un esercizio di ri-creazione visuale..
Con la funzione di stimolare questo processo di sovrapposizione la scelta è stata di montare il film con lunghi piani sequenza. La “sospensione” che essi producono aiutano da un lato il proliferare ed estendersi di emozioni che i frammenti di diario evocano, dall’altro il collocamento di quei frammenti, schegge, in uno “spazio” contemporaneo in un certo senso “vergine”, perché completamente aperto agli “inserimenti” dello spettatore. Per questo i piani sequenza non hanno movimenti di macchina o, quando vi sono, appena percettibili data la loro lentezza e precisione.
FATTI STORICI
La battaglia di Caporetto, o dodicesima battaglia dell'Isonzo, (in tedesco Schlacht von Karfreit, o zwölfte Isonzoschlacht) venne combattuta durante la prima guerra mondiale tra il Regio Esercito italiano e le forze austro-ungariche e tedesche.
Lo scontro, che cominciò alle ore 2:00 del 24 ottobre 1917, rappresenta la più grave disfatta nella storia dell'esercito italiano, tanto che, non solo nella lingua italiana, ancora oggi il termine Caporetto viene utilizzato come sinonimo di sconfitta disastrosa.
Con la crisi della Russia dovuta alla rivoluzione, Austria-Ungheria e Germania poterono trasferire consistenti truppe dal fronte orientale a quelli occidentale e italiano. Forti di questi rinforzi, gli austro-ungarici, con l'apporto di reparti d'élite tedeschi, sfondarono le linee tenute dalle truppe italiane che, impreparate a una guerra difensiva e duramente provate dalle precedenti undici battaglie dell'Isonzo, non ressero all'urto e dovettero ritirarsi fino al fiume Piave.
La sconfitta portò alla sostituzione del generale Luigi Cadorna (che cercò di nascondere i suoi gravi errori tattici imputando le responsabilità alla presunta viltà di alcuni reparti) con Armando Diaz. Le unità italiane si riorganizzarono abbastanza velocemente e fermarono le truppe austro-ungariche e tedesche nella successiva prima battaglia del Piave riuscendo a difendere a oltranza la nuova linea difensiva su cui aveva fatto ripiegare Cadorna.