Sinossi *: Un giovane cammina in piena notte in una spiaggia deserta. È quasi l’alba, come traspare dalle luci della collina. Il giovane sui trent’anni, si muove nello spazio deserto senza una meta.
Improvvisamente compaiono dal nulla, come per magia, un vecchio e una bambina. Il giovane è sconvolto. Riconosce subito il vecchio: è suo nonno, morto da molti anni. In quanto alla bambina….
Il giovane si sveglia di soprassalto, angosciato, madido di sudore. È stato un brutto sogno. Si rivolta nel letto, accanto a lui è distesa una ragazza molto bella, indifferente, che sta guardando un film sullo schermo di un piccolo televisore. Fra i due il gelo assoluto. Non un gesto, non una parola. Incomunicabilità totale.
Il giorno dopo scopriamo che il giovane del sogno è un regista. Lo scopriamo in un bar, quando incontra due sceneggiatori, in palese conflitto creativo. Sono in disaccordo sul modo di definire il concetto di scrittura e la differenza tra il pensiero e la sua conseguente realizzazione. Il dibattito conflittuale incide negativamente sullo stato d’animo del regista, già preso dai suoi tormentati problemi personali. Durante il suo girovagare per le strade di notte, in cerca, forse, di altri fantasmi o per sfuggire a nostalgiche illusioni, il giovane regista si reca, infine, a casa del Mentore per un sostegno morale. Costui è un anziano regista underground, amante dell’alcool, respinto dal sistema, che stritola scientificamente chi non riesce, o non vuole, integrarsi negli schemi dozzinali e conformisti del cinema contemporaneo. Il cinema, che per lui è soltanto arte, lo ha estromesso dal circuito produttivo.
Il Mentore è lo specchio fedele del giovane regista, che lo ha scelto come maestro, poiché personaggio di grande spessore intellettuale. Durante il loro colloquio compare misteriosamente, non vista, la bambina del sogno, Lucilla, che assume nella dinamica del film il ruolo di un Demone - creativo.
Durante il suo girovagare notturno, il regista si imbatte in una Donna ed un bambino, non riesce a capire se si tratti di un sogno o di cruda realtà. Dopo alcuni istanti la Donna si rivela come la Nonna del regista, invece il bambino è proprio lui da giovane. Dopo alcuni istanti la Nonna conduce il regista all’interno di un ospedale, stiamo rivivendo il momento della morte del Nonno. La Nonna si rivolge direttamente al regista e lo ammonisce di stare attento al mondo e di non perdere mai la sua purezza. Ad un certo punto tutto svanisce.
Al risveglio ritorna sul luogo del presunto sogno e si siede sulla stessa panchina. Ad un certo punto si avvicina a lui uno strano personaggio con uno scopettone in mano, una specie di “spazzino” novecentesco. Il regista inizia una discussione con quest’uomo, che si dimostra stranamente una specie di artista-spazzino, infatti la descrizione del suo lavoro sembra molto simile alla descrizione della gestazione cinematografica. Sullo sfondo i colleghi dello spazzino ingaggiano una fantomatica partita di tennis ispirata a Blow-up, il capolavoro di Michelangelo Antonioni.
Nei giorni seguenti il regista incontra un produttore di film a “tinte erotiche”. Incontro negativo fin dalle prime battute. Il produttore demolisce, senza preamboli, il progetto del regista, e gli consiglia di seguire la strada della mercificazione del corpo. Lui conosce le dinamiche commerciali, quindi respinge senza condizioni la proposta del regista. La delusione è atroce. Ma chi sorride consenziente è Lucilla, sempre non vista, che si aggira leggiadra fra i due contendenti, divisi dalla scrivania.
Il Mentore, nel frattempo, è preso da una tremenda crisi di astinenza alcolica. Cerca disperatamente di bere, ma le bottiglie accumulate sul tavolo sono vuote. È disperato. Ad un tratto compare Lucilla, con una bottiglia di Cognac. La posa sul tavolo in bella vista. Il Mentore, senza darsi una plausibile spiegazione, si avventa sul liquore con bramosia. Si allontana dal tavolo. Barcolla, si appoggia alla parete, e cade per terra.
Platea cinematografica, stracolma di gente. Stanno proiettando un filmaccio. Il regista è seduto nelle prime file. È disgustato, ma soprattutto indignato nel vedere che gli spettatori apprezzano quel film senza alcun ritegno. Il regista supera ogni limite di sopportazione: si alza dalla poltrona e, con balzo atletico, sale sul proscenio tra lo stupore generale.
Il regista indignato urla di fermare la proiezione. Si accendono le luci di sala. La proiezione viene interrotta. Davanti allo schermo, il regista rabbioso e frustrato invita gli spettatori a ribellarsi a quel tipo di cinema, dannoso per la crescita morale. Il dettaglio successivo al comizio mostra la platea completamente vuota. In fondo alla sala c’è soltanto Lucilla, sorridente, che si compiace per l’opera realizzata.
Secondo incontro con un produttore. È un personaggio ambizioso, intellettuale, formalmente colto che vuole mettere mano alla sceneggiatura, modificare la tipologia dei personaggi, intervenire sulle “riprese”, le scenografie, i costumi, ecc. Vorrebbe, insomma, essere l’autore di un’opera che non gli appartiene. Nessun accordo è possibile. Il regista se ne va sbattendo la porta.
Sempre più deluso e mortificato, pieno di rabbia, il regista, nel suo girovagare nella notte, s’imbatte in una troupe che sta girando uno spot pubblicitario. Il prodotto è cibo per cani. Il regista dello spot è un compagno di studi del nostro protagonista. Due identità si confrontano: il pubblicitario sceso a compromessi e l’integralista che non rinuncia alle sue convinzioni artistiche.
Un altro sogno: un lungo corridoio, simbolo di una moltitudine di porte chiuse. Ne apre una che reca la scritta “Gran Cane”. Grottesco. L’incontro del regista con il cane di grossa taglia, che simboleggia l’inconscio del protagonista, chiarisce il concetto, secondo il quale l’energia psicofisica e la rabbia repressa devono essere canalizzate per raggiungere l’obbiettivo: realizzare il film.
Il risveglio è amaro. La ragazza che dorme al suo fianco è sempre più distante, delusa e inesistente. Gli rinfaccia il fallimento sentimentale e professionale. Allora il regista prende una decisione irrevocabile.
Nel tardo pomeriggio invernale, nella strada buia e desolata, il regista si accosta nei pressi di una Banca. Si copre il volto con una calzamaglia, indossa i guanti di lattice, estrae una pistola dal borsone ed entra nella Banca, per compiere una rapina. Finalmente il problema finanziario è stato risolto senza tanti scrupoli.
Ma le angosce del regista non sono finite. È una specie di maledizione. Il set è pronto per girare il film. Luci, attrezzature e scenografie sono posizionate. Nascono i primi conflitti, discussioni interminabili sul perfezionismo che non deve soffocare la creatività. Il protagonista del film, un famoso attore sui sessant’anni riflette sul suo ruolo all’interno del film. Riflessioni sulla gerarchia del set: il regista è l’unico autore del film. Gli sceneggiatori rinnegano quella paternità. Gli attori insorgono per reclamare la loro primogenitura sull’opera d’arte. È il caos. Ricorda Prove d’orchestra, il film più dissacrante di F. Fellini.
Il Mentore, invece, esprime la sua passività, disteso sul letto, con il bicchiere in mano. Parla con se stesso o con interlocutori invisibili sul concetto del tempo, esprimendo nostalgia per i grandi maestri del cinema che non ci sono più. Ma un interlocutore vero entra nella stanza: è il “Gran Cane”. Il dialogo verte sul futuro del regista. Si apprende che la decisione del Mentore di non aiutarlo è stata imposta dal Gran Cane. La decisione era necessaria: il regista deve trovare da solo la strada della creatività.
Successivamente entra in scena, non visibile al Mentore, Lucilla, la bambina che ora interpreta il male come unica soluzione esistenziale. Posa una pistola sul mobile e si allontana con un sorriso compiacente.
Il film è stato “girato”, nonostante le molteplici difficoltà. La prima copia è stampata. È giunto il momento di cercare una Società di Distribuzione. Il Distributore, molto sbrigativo, anche perché lo attende un volo per Los Angeles, è drastico: i cosiddetti film d’arte sono riservati ad un gruppo ristretto di èlite, “masturbatori mentali” li chiama. Mentendo dice di aver visto il film e di apprezzarlo, nonostante tutto, ma -come confida ad una sua collaboratrice- questi film minimalisti sono tutti uguali: visto uno, visti tutti. Il congedo è emblematico: restituisce al mittente la bobina del film. In altri termini: la potenza di una singola persona condiziona il destino di un’opera.
Il Mentore versa le ultime sorsate di Cognac nel bicchiere. Beve, mentre si avvicina al mobile. Impugna la pistola di Lucilla, mentre squilla il telefono. Si muove, barcolla, cade a terra. Il bicchiere va in mille pezzi.
Pomeriggio inoltrato, strada buia e deserta. Il regista esce dalla Banca. Volta l’angolo. Si scopre il volto dalla calzamaglia, si toglie i guanti, estrae dal borsone la pistola e la bobina del film. Il tutto finisce nel cassonetto della spazzatura. La scelta è fatta: il regista preferisce rinunciare a distribuire il film -lo getta nel cassonetto-, il mondo del cinema non fa per lui, preferisce dedicarsi alle rapine in Banca, gli danno più emozione e soddisfazione.
La stanza del Mentore è desolatamente vuota. Strane luci illuminano l’uomo, disteso sul pavimento, incapace di muoversi. Si sente d’improvviso un tonfo metallico. È la bobina del film, che arriva magicamente a fianco a lui. Prodigio di Lucilla?
Si accende la luce. Il Mentore estrae la pellicola e comincia a srotolarla. In controluce osserva avidamente il film, fotogramma per fotogramma. In un angolo Lucilla sorride maliziosamente. La perduta passione del giovane regista ha fatto rivivere la passione del vecchio Mentore.