Sinossi *: storie diverse che si intrecciano nell’arco di una notte, a Roma. Unite da un filo comune: la ricerca di qualcosa che non c’è. Utopie, amori, ossessioni: perdersi nella notte, senza meta, per sfuggire alla normalità. Per trovarsi. Un film generazionale? Forse, ma per paradosso: mettere in scena la generazione per dire che una generazione non esiste. Che è l’invenzione di un certo cinema, di una certa, pessima letteratura. I personaggi di Movimenti sono parte di una generazione invisibile, che sfugge agli schemi con cui in genere se ne parla: famiglia, coppia, collocazione politica nel senso più trito e banale, ceto sociale. Una generazione fatta di individui diversi, che non parlano il gergo della normalità mediatica, pieni di manie e strampalati progetti personali, che non si accontentano di sogni a buon mercato e dell’«essere realizzati»: anarcoidi, inquieti, fuori da mode e nevrosi da magazine televisivo, che per quanto a casaccio, si muovono, pretendono di cambiare, vogliono essere felici. Personaggi sempre in bilico, spaventati forse, ma anche appassionati, non affascinati dal luccicare della superficialità, alla ricerca di qualcosa di comune, monadi che incontrano altre monadi, e con stupore si accorgono che nel fondo c’è qualcosa che li lega, un’intuizione del mondo in cui credere: è l’entusiasmo dell’incontro che li sospinge a veleggiare nella strana nottata del film.