Sinossi *: “ROMA, SANTA E DANNATA” è un viaggio nella notte romana dove Roberto D’Agostino racconterà all'amico Marco Giusti, ripresi da Daniele Ciprì, perché Roma è una città, come la sedia elettrica è una sedia. Città unica e infernale, capace di tutto, anche di trasformare Berlusconi in un premier, De Michelis in un ballerino, Renzi in uno statista, Valeria Marini in un’attrice. D’accordo con Vincent van Gogh (’’La notte è la cosa migliore che possa accadere al giorno. La notte è più colorata”), Dago & Giusti intraprendono il viaggio al calar delle tenebre perché è di notte che si percepisce meglio il frastuono del mondo. È di notte che il cambiamento dei costumi sociali s’impone. È la notte che racconta al meglio quello che sta succedendo alla nostra vita, più di qualsiasi saggio sociologico. Gironzolando per le strade di Borgo Pio, navigando in barcone sul Tevere, incontrando personaggi e fantasmi, sempre indecisi se chiamare i carabinieri o gli infermieri, Dago & Giusti raccontano una città più misteriosa della formula della Coca Cola. Enigma perfetto da degradare a metafora: è un binario morto, una polpetta avvelenata, un bordello del pensiero, un pascolo di mostri, un imbuto enorme di demenza collettiva. Scriveva Chateaubriand: “E’ bella Roma per dimenticare tutto, disprezzare tutto, e morire”. E Fellini aggiungeva: “L’Urbe è un immenso cimitero brulicante di vita”. Città che dovrebbe porre all'ingresso del Raccordo Anulare l'iscrizione che Dante mette sulle porte dell'inferno: ‘’Lasciate ogni speranza o voi ch'entrate’’. Un luogo dove si è sempre in attesa dell’arrivo dei barbari, ma una volta arrivati a Piazza del Popolo, non ci vorrà nulla a sedurli, a corromperli, a trasformare i barbari in Barberini; non ci vorrà davvero nulla ad attovagliarli con quattro sgallettate in minigonna inguinale da “Checco er Carrettiere” e tutti insieme vederli gorgheggiare “La società dei magnaccioni”: “Ce piacciono li polli, l’abbacchi e le galline, perché so senza spine, nun so’ come er baccalà”.